In questi giorni di metà agosto ho più volte pensato di spedire una lettera al Presidente del Consiglio, Mario Monti, in relazione alla politica universitaria e culturale del governo da lui presieduto. Ecco, anche se non la leggerà mai, cosa vorrei dirgli:
Gentile Presidente del Consiglio Mario Monti,
credo che, come me, milioni di Italiani non potranno mai esprimerLe adeguata riconoscenza per averci liberato dalla vergogna di un Presidente del Consiglio impresentabile, nonché in un consesso internazionale, in una semplice compagnia di persone civili. Mi rendo conto, anche qui, credo, come la maggior parte dei nostri connazionali, delle enormi difficoltà che il Suo governo deve affrontare per far superare all’Italia una crisi senza precedenti e presumibilmente lunga; e, come tutti, so bene che gli anni di prosperità sono alle spalle, e il futuro incerto. Mi guardo bene dall’entrare in materie che non sono di mia competenza. Ma, mentre registro positivamente che Lei ha esortato i Suoi ministri a tornare dalle ferie con proposte nuove e sensate, mi permetto di esprimerLe alcune perplessità sulla politica del Suo governo per quanto riguarda Università e cultura.
Il ministro Profumo, che è persona intelligente e simpatica, non sembra muoversi con una visione di largo respiro, quale quella che il mondo universitario richiede. Ha in sostanza accettato il pesante fardello del precedente (e anch’esso, per molte ragioni, impresentabile) ministero Gelmini. Non è questa la strada per dare ossigeno alla ricerca, che si continua, a parole, a considerare come uno dei motori fondamentali per il Paese. Sono state proposte alcune novità, magari discutibili (in senso etimologico) ma degne di attenzione. Per quanto riguarda la scuola, il proposito di dotare ogni studente di un tablet sembra, oltre che utopistico (date le ben note mancanze di risorse dell’istituzione scolastica), non del tutto centrato. Intendiamoci, facilitare l’integrazione dei mezzi tradizionali di docenza e apprendimento con le potenzialità informatiche è lodevole. Tuttavia c’è un equivoco di fondo. La netta maggioranza degli studenti, se non possiede già di suo strumenti informatici, ha con essi una notevole familiarità. Per contro, ogni docente, di qualsiasi ordine e grado, sa bene che i problemi veri della scolarizzazione sono legati ad altri fattori. È sempre più difficile trovare uno studente che sappia argomentare un pensiero astratto (punto irrinunciabile di ogni attività intellettuale, sia essa scientifica o umanistica) in modo chiaro e rigoroso. Ed è su questi punti che bisognerebbe lavorare, prima di fuggire in avanti verso i lidi luminosi dell’informatica, della cui utilità nessuno dubita. Per fortuna l’altra poco brillante idea del ministro, la reintroduzione di quello che una volta era il “primo della classe”, sembra caduta nel dimenticatoio. Non credo il mio sia un caso isolato. Non sono mai stato il “primo della classe”. Ma quelli che lo erano, nei miei anni liceali, non si sono certo rivelati, nella loro successiva esistenza lavorativa, persone dotate di particolare incisività e brillantezza. Poi c’è la questione, troppo delicata e ardua per potere essere affrontata in poche righe, dei corsi in Inglese. Come molti miei colleghi, alcuni dei quali noti e prestigiosi linguisti o storici della lingua, ritengo si tratti in sostanza di scelta provinciale. Capisco benissimo che un fisico o un medico debbano poter scrivere in buon Inglese (quando accade!) i loro lavori accademici, anche perché molte riviste italiane di quelle materie accettano ormai solo, e comprensibilmente, articoli scritti in quella lingua (persino a me è capitato di scrivere articoli concernenti la Letteratura italiana in Inglese e in Tedesco). Ma tenere lezioni solo in Inglese è cosa affatto diversa. Ogni studente universitario italiano dovrebbe, alla fine del suo percorso di studi, essere in grado di tenere una buona lezione nella propria lingua, la cui ricchezza scientifica si impoverirebbe in modo impressionante in conseguenza di una scelta così radicale. Senza contare il retrogusto un po’ ridicolo, poniamo, di una lezione di medicina, il cui lessico è fondamentalmente greco, tenuta in Inglese, che a quella stessa radice fatalmente ricorre. Mi fermo qui, senza toccare la spinosa questione dei test di ammissione per il TAF (Tirocinio Formativo Attivo, nella squallida lingua burocratica), che hanno creato comprensibile subbuglio per gli incredibili errori nella formulazione delle domande (una mia validissima laureata, subito dopo aver sostenuto la prova, mi aveva indicato alcuni stratosferici svarioni).
Quanto al ministro dei Beni e Attività Culturali, Lorenzo Ornaghi, è così ininfluente e mancante di nerbo da essere stato chiamato sulla stampa, e non a torto, “ministro Ponzio Pilato”. Palesemente il ministro considera il compito assegnatogli come di nessun prestigio; forse gli andrebbe detto che in un Paese come il nostro quel ministero dovrebbe essere (e non lo è, non lo è mai stato) uno dei dicasteri chiave. Giacché, ex ministro Tremonti, forse nella peraltro bellissima Kamchatka con la cultura non si mangia. Ma in Italia sì, se si conosce la propria storia e il proprio territorio. Sul conto di Ornaghi va poi messo anche lo scandalo di Marino Massimo de Caro, collocato alla Direzione della magnifica Biblioteca dei Girolamini di Napoli, quando si sapeva benissimo, e da tempo, che per occupare quel posto non solo gli mancava ogni competenza, ma aveva invece controindicazioni clamorose, che qui per carità tralascio. Solo in seguito a una agguerrita campagna di stampa e a un manifesto firmato da molti docenti universitarî italiani, visto che non c’erano altre possibili uscite dignitose, la situazione si è chiusa. Ma con danni, per il patrimonio librario della Biblioteca, che non sono ancora calcolabili (e che si sospettano ingenti). Per non parlare di importanti musei inaccessibili la domenica (vedi la Galleria d’Arte Antica di Palazzo Barberini a Roma, altro episodio finito sui giornali, con indignazione internazionale).
Infine, due considerazioni che riguardano non solo il ministro Profumo, ma Lei stesso, signor Presidente del Consiglio, e l’intera compagine ministeriale.
Il sottosegretario alla Salute, professor Adelfio Elio Cardinale, è indagato a Bari in un’inchiesta su concorsi truccati in varî atenei italiani. Non sarebbe giusto chiedere al professore (tanto per cambiare un docente di Medicina, la facoltà più esposta in una lunga storia di scandali) di fare un passo indietro?
E ancora: tempo fa stampa e televisione Le chiesero di agire per ottenere le dimissioni di Luigi Frati (naturalmente un altro docente di Medicina) da rettore della Sapienza di Roma (che, con tutto il rispetto, non è l’ultima di questo Paese). Non si è mossa foglia. Credo molti riconoscano in Lei alcune delle qualità migliori di un docente: chiarezza espositiva, misura, equilibrio, rigore. Ma Lei sa ben meglio di me che a un docente carismatico (e tanto più a un capo di governo) si chiedono altre doti irrinunciabili: il coraggio delle proprie azioni e il riconoscimento pubblico del vero merito (cioè l’esatto contrario di quanto collegabile agli ultimi due nomi fatti). Altrimenti i giusti discorsi sulla speranza da ridare ai giovani sono lettera morta.
Con stima
renzo Bragantini