di MICHELE VANOLLI – http://www.officinedemocratiche.it
Siamo spesso legati all’immagine di giovani sorridenti e spensierati ma sono diversi anni che, non a caso, qualcuno parla della “depressione di essere giovani”.
Si può percepire chiaramente se si parla cinque minuti di lavoro, prospettive e futuro con un qualsiasi ragazzo italiano, diciamo under 30. L’impressione che se ne trae è quella di una generazione,o meglio due, sempre più depresse circa il loro futuro.
Sta succedendo, in parte è già successo, una cosa terribile: si sta perdendo la speranza nel futuro, nella prospettiva di realizzare i propri sogni, o almeno di provare a farlo. Parlo, ascolto e a volte litigo, sempre più con coetanei che hanno deciso di mollare, di abbandonare i sogni e rifugiarsi nella prima cosa che trovano, qualunque essa sia. Non sono persone impaurite dal lavoro, ne dalla c.d. “gavetta”, sono persone che hanno semplicemente perso la speranza che i sacrifici di oggi, saranno le soddisfazioni di domani.
Di contro, se si ascoltano le dichiarazioni di un qualsiasi esponente politico, di un qualsiasi partito, si sente ripetere che i giovani sono il primo pensiero, promettono di risolvere il problema e di garantire un futuro radioso e “a tempo indeterminato” a tutti.
La verità è che nessuno li ascolta, qualsiasi cosa promettano, nessuno ha fiducia in loro, semplicemente, non sono credibili perchè non possono esserlo. In primo luogo, perchè non capiscono i più giovani. Non è tanto un problema anagrafico, è una cosa ben diversa: è un distacco dalla realtà, è la mancanza della vita reale. Questi signori fanno esclusivamente i politici di professione da anni, non vivono più la vita “normale” da almeno trent’anni e, di fatto, hanno perso il contatto con la realtà. Chiedere il ricambio della classe dirigente italiana non è chiedere “poltrone” per chi è nato dopo, sarebbe stupido, è chiedere di far entrare forze fresche e nuove, provenienti dalla vita di ogni giorno, nella ricerca delle soluzioni. In secondo luogo, la classe dirigente italiana non è credibile perchè si è dimostrata palesemente incapace di affrontare anche il minimo problema del paese. Tra una battuta (squallida) di Berlusconi, e un inciucio di D’Alema sono passati vent’anni, e mentre altri paesi compivano sforzi titanici per cercare di prepararsi alle sfide del futuro, noi siamo rimasti fermi, rimandando al domani (sulle nuove generazioni) quel che si doveva fare ieri.
Tuttavia, la risposta non può e non deve essere il rifiuto della politica e, ancora peggio, la perdita della speranza nel futuro. Il nostro paese ha bisogno di qualcuno che torni a dare speranza nel domani, ma una speranza concreta, basata sul fare. Basta ottimismo vuoto e infondato stile Berlusconi, basta con i ventenni cooptati che sono i replicanti dei vecchi che li sostengono ma basta anche con la politica del “vaffanculo” stile Grillo.
I giovani, e con loro tutti gli italiani, hanno bisogno di qualcuno che gli prometta che i loro sacrifici non sono privi di senso. Abbiamo bisogno di credere che il criterio per la selezione dei prossimi concorsi pubblici sarà esclusivamente il merito. Abbiamo bisogno di un paese nel quale gli esami di Stato non sono un “terno al lotto”, nel quale conta esclusivamente la fortuna o, peggio la raccomandazione. Abbiamo bisogno di un paese nel quale per avere un posto per un dottorato di ricerca non serve passare ogni giorno dall’ufficio del professore per chiedergli come sta o come sono andate le vacanze. Serve quindi una politica in grado di farci tornare a sognare. Il “sogno” non è rappresentato da un futuro radioso a prescindere dal sacrificio e dal merito, ma dalla sicurezza che, se hai le capacità e dai ogni giorno il massimo, avrai la possibilità di realizzare le tue aspirazioni. L’obiettivo è far tornare la voglia ai giovani di scommettere su loro stessi, ma per fare questo occorre che lo Stato scommetta veramente sulle loro capacità.
Nulla è ancora perduto, ma il tempo stringe, le prossime elezioni politiche sono fondamentali: perdere questo treno significherebbe perdere un’intera generazione, e nessuno di noi se lo può permettere.