Officine DemocraticheLiberare la cultura

di ANDREA MARCUCCI - http://www.officinedemocratiche.it Il settore culturale nel nostro paese è in crisi da tempo. Scarsità delle risorse, incapacità gestionali, clientelismi, assenza di privati, ...

di ANDREA MARCUCCI – http://www.officinedemocratiche.it

Il settore culturale nel nostro paese è in crisi da tempo.
Scarsità delle risorse, incapacità gestionali, clientelismi, assenza di privati, deficit astronomici, eccesso di burocrazia: sono solo alcuni dei temi in discussione da ben prima che la congiuntura economica incrinasse ulteriormente lo stato delle cose. E quanto sia stato incrinato in questi anni lo stato delle cose, basta scorrere i dati. Nel 2011 il Fus, anche dopo il reintegro stabilito dall’allora ministro Galan, si è fermato a quota 428 milioni di euro, lo 0,19% del pil, la cifra più bassa mai stanziata per la cultura e più o meno equivalente a quella deliberata nel 2012 dal governo Monti.

Questi numeri, credono, servono a capire l’entità e la gravità di quello che è successo nel nostro Paese. Le conseguenze sono visibili ogni giorno e spesso qualche volta finiscono sulle pagine dei giornali. Un dato tra i tanti: in Toscana ci sono 11 aree archeologiche, alcune molto importanti come quella del Parco di Roselle. Nel 2010 servivano 5 milioni di euro, ne sono arrivati solo 1 milione e 300 mila euro. In questi anni le Soprintendenze sono state costrette all’impotenza, le varie leggi finanziarie per mesi hanno bloccato i rimborsi e l’uso di mezzi propri per gli archeologi ed i tecnici impegnati in missioni di tutela. In Toscana c’è una sola auto di servizio per coprire un patrimonio molto vasto.

Su scala nazionale il Mibac dispone di solo 350 archeologi a fronte di oltre 5.600 beni archeologici vincolati, in un rapporto di 1 a 16; e di 1.228 tra architetti, restauratori, storici dell’arte per un patrimonio che conta 46.000 edifici tutelati.C’è un meccanismo che indebolisce ancora di più le istituzioni culturali, oltre alla perversione dei tagli. E’ l’incertezza, il non sapere, se non all’ultimo momento, quando si potranno incassare i denari dello Stato e quanti saranno. Per questo bisogna tornare ad una pianificazione triennale del Fus. Tutto questo avviene, mentre secondo i dati di Federculture, spettacolo e cultura contribuiscono al Pil con 39,7 miliardi di euro.

Quello che è in crisi non è il settore quindi , ma la strategia politica perseguita fino a oggi. Ed infatti sul fronte degli investimenti e delle classifiche internazionali, i risultati sono drammatici. Il calo dei finanziamenti è complessivo e riguarda non solo quelli pubblici (-33% in 5 anni), con i 20 euro procapite versati nel 2010 dalla Stato, contro i 46, ad esempio, della Francia ma anche quelli privati scesi di 181 milioni di euro rispetto al 2009 (-9,6%). A diminuire sono le sponsorizzazioni (-30%), le erogazioni delle fondazioni bancarie (-20,5%) e le donazioni delle imprese (-7%). Oltre al problema occupazionale, le ripercussioni si sentono fino a uno dei settori finora più solidi dell’economia nazionale. L’Italia appare un paese scarsamente proiettato in avanti. Per la prima volta dopo ventanni registriamo una battuta d’arresto del turismo culturale. In un solo anno, l’appeal del Paese Italia, complici la non cura del patrimonio e i tagli all’offerta, è precipitato dal 6 al 12 posto del Country Brand Index, classifica mondiale che registra l’attrattività di un paese. Nel World Economic Forum, che valuta la competitività in campo culturale, siamo addirittura 48esimi, fanalino di coda in Europa, che pure occupa metà della top ten.

Ci troviamo ad affrontare una situazione particolarmente complessa e abbiamo l’esigenza di riscrivere i fondamentali. Da una parte il compito che aspetta l’esecutivo che si formerà dopo il turno elettorale del 2013, sarà quello di rivedere i criteri della spesa pubblica. Da ex sottosegretario so bene quanti sprechi, quante inefficienze, quanti finanziamenti non utilizzati compongono il bilancio del settore. Basti rifarsi ad un caso che ha fatto il giro del mondo: Pompei. Nella più famosa area archeologica, a seguito dei continui crolli, e’ dovuta intervenire l’Europa con un finanziamento straordinario di 105 milioni di euro, ma dovrebbe far riflettere sui guasti del nostro sistema pubblico, il fatto che negli ultimi anni la Soprintendenza di Pompei ha 40 mln non utilizzati e che nel recente passato per la Corte dei Conti sono stati 231 milioni i fondi restituiti al bilancio perchè non spesi.

Da una parte quindi è necessario rivedere i criteri della spesa pubblica (magari ponendosi l’obiettivo di raggiungere gradualmente le percentuali degli altri paesi europei), dall’altra è fondamentale trovare nuove strade. Ad esempio introdurre gli sgravi fiscali (declinando a tutto il settore i tax credit e tax shelter oggi a disposizione per il cinema) ed incentivare e favorire l’ingresso dei privati anche nella gestione diretta dei beni e delle attività culturali.
In pratica serve liberalizzare la cultura, semplificando le procedure che oggi vanificano lo spirito di iniziativa delle istituzioni e dei privati, ed introducendo criteri di efficienza nella spesa pubblica mediante il raggiungimento di obiettivi concreti. I dati di Federculture, lo abbiamo visto prima, certificano il brusco calo degli investimenti privati. Ciò significa che il proliferare di norme, lungi dal favorire le donazioni e la partecipazione dei privati, ha compromesso il rapporto di fiducia che deve sussistere tra istituzioni beneficiate e donatori. Qualunque riforma che intenda incentivare le donazioni dei privati deve ricostruire tale rapporto di fiducia.

Ovviamente la leva fiscale comporta un breve periodo di minori entrate per le casse dello Stato, ma come è successo per tax credit e tax shelter per il cinema, le misure incentivano gli investimenti nel settore e in tempi rapidi compensano le mancate riscossioni, provocando in definitiva un aumento delle quote d’entrata. L’ambito di applicazione di questo intervento legislativo deve riguardare le fondazioni lirico-sinfoniche, gli istituti culturali, i musei statali, le biblioteche, gli spettacoli dal vivo, gli archivi, e le aree archeologiche.

. Semplificazione nella modalità di erogazione del beneficio tributario e dell’erogazione liberale che potrà essere versata sia in contanti che con tutti gli altri mezzi di pagamento disponibili

. La detrazione delle erogazioni liberali viene assimilata alle detrazioni per le spese farmaceutiche. La ricevuta dell’ente o dell’attività premiata certifica l’esborso ai fini fiscali

. Introduzione di un credito di imposta per coloro che destinano un contributo in favore di istituzioni o attività culturali, da scomputarsi nella dichiarazione dei redditi dell’anno in cui la contribuzione viene sostenuta ovvero in quella degli anni successivi. Tale misura supera la disciplina attualmente in vigore sulle deduzioni e le detrazioni di imposta, semplificando il modello di prelievo.

. L’ente o l’attività che percepisce il contributo potrà impiegarlo senza particolari complicazioni amministrative e fiscali ma è tenuto a specificare a priori le attività alle quali destina le risorse ricevute e ne informa puntualmente i donors.

. piena trasparenza dei processi di spesa delle somme ricevute e monitoraggio dei risultati raggiunti

. Soppressione delle norme che distinguono il contribuente, società o persona fisica, ovvero soggetti alla Imposta sul Reddito delle Persone Fisiche (IRPEF) o soggetti alla Imposta sul Reddito delle Società (IRES).

. Liberalizzazione della gestione delle istituzioni culturali , con l’ingresso dei rappresentanti dei donatori, al fine di partecipare attivamente alla definizione e alla realizzazione delle strategie condivise

. Autonomia organizzativa e finanziaria per tutte le istituzioni culturali, con criteri premiali per il miglioramento della produttività in relazione ai costi di gestione

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