Da quando Renzi e Bersani hanno cominciato questa corsa delle primarie, commentatori politici ed esperti di comunicazione politica si sono scatenati. Proponendoci, ogni giorno, le più disparate e fantasiose “analisi”. Sui mille perché dello slogan scelto, dei colori, formati e pay-off utilizzati, del luogo per il comizio selezionato, dell’abbigliamento indossato, del mezzo usato per spostarsi da una località ad un’altra, della manica di camicia risvoltata e di altri simili ed irrilevanti particolari. Ma soprattutto ricavando dalla battuta felice o disgraziata, pronunciata dai due competitors, ampollose teorie sul posizionamento e la visione che quella battuta porterebbe con sé.
Ai succitati analisti e spin doctor sfugge, in questo vortice della politica mediatica, nel quale siamo drammaticamente avviluppati, che la politica si muove, per fortuna, anche su piani diversi e con logiche che necessitano di letture più tradizionali, ma anche più approfondite. E dunque non basta fermarsi alla possibile interpretazione della frase ad effetto di Renzi o Bersani, o al commento sul vestito che indossano o sul sigaro che fumano per trarre conclusioni realistiche su cosa sta accadendo in queste primarie. Che per il Pd dovrebbero segnare il compimento del progetto politico avviato nel 2007. Ma che in realtà, segnano, forse definitivamente, il suo fallimento.
Poco importa l’orientamento dei tanti capetti senza truppe del Pd, che si prodigano per scrivere lettere e appelli ai giornali o per chiedere di essere intervistati e poter così declinare il proprio pensiero ed esprimere la propria preferenza. Perchè nei territori, dove avverrà la scelta su Bersani o Renzi, si sta delineando una divaricazione tra i rispettivi sostenitori/elettori fondata su matrici ideologico/culturali, più che sulla piacevolezza esteriore dei due, sulla gradevolezza comunicativa o sui loro appunti programmatici per l’Italia: dalla parte di Bersani tutti o quasi gli ex diessini, dalla parte di Renzi tutti o quasi gli ex margheritini. È questo il dramma, che nessuno racconta e che sta accadendo. Quello che sancisce, una volta di più, come la fusione a freddo tra Ds e Margherita non abbia prodotto quell’amalgama politico-culturale necessaria ad approdare ad una rinnovata cultura riformatrice. Che di fatto non è mai nata.
Con il risultato che gli steccati tra chi si richiama ad una esperienza cattolico-democratica e chi invece ad istanze social-democratiche reggono e sono riaffiorati con forza nella polarizzazione del consenso per Bersani o Renzi. Questo è lo scenario, a giudicare da quanto sta accadendo in tante aree del paese e da come si stanno muovendo anche le giovani leve del partito, che si sarebbe sperato fossero meno ancorate dei vecchi a famiglie politiche del ‘900.
Ne consegue che nessuno dei due competitors, monchi come sono di una visione politico-culturale innovativa, ma in particolare che vada oltre i confini di vecchie tradizioni e sappia parlare non solo ai propri fans, è in grado di rappresentare un’idea “rivoluzionaria” di progetto-Paese. Il paese reale, con i suoi drammi ed i suoi sogni, non a caso assiste con disincanto allo spettacolo delle primarie. Perché ha capito che questa corsa puzza di antico scontro ideologico e guerra tra apparati. E che non porterà quell’aria fresca di cui l’Italia ha grande e tremendo bisogno.