François Hollande ha rotto il silenzio su una delle pagine più nere della storia francese del dopoguerra. La scorsa settimana, dopo un’attesa durata 51 anni, ha finalmente parlato di quella sera di martedì 17 ottobre 1961, quando nel centro di Parigi la polizia francese caricò brutalmente una pacifica manifestazione di 30000 Algerini, provocando la morte di 150 persone inermi e lasciando sul terreno migliaia di feriti. «Le 17 octobre 1961 – si legge ora nel comunicato dell’Eliseo – des Algériens qui manifestaient pour le droit à l’indépendance ont été tués lors d’une sanglante répression. La République reconnaît avec lucidité ces faits. Cinquante et un ans après cette tragédie, je rends hommage à la mémoire des victimes».
Finora quei fatti non esistevano, erano cancellati, dimenticati, occultati, in un assordante silenzio di Stato. Con la sua presa di posizione, Hollande – che a dicembre compirà un’importante visita di Stato in Algeria – è il primo uomo politico con responsabilità di governo ad ammettere che quel massacro, vera e propria vergogna nazionale della Francia repubblicana, ebbe effettivamente luogo. Immediatamente dopo i fatti di quella sera, il governo francese di Charles de Gaulle impedì la pubblicazione di foto, filmati o altro materiale che documentasse gli eventi, oscurando in un cono d’ombra l’intervento della polizia. Ancora oggi non sono accessibili i documenti del Ministero degli Interni francese relativi a quei fatti, tanto da rendere insicure le stime sul numero dei morti e dei feriti.
Fino alla scorsa settimana, la versione ufficiale del 17 ottobre era ancora quella del Prefetto di polizia di allora, Maurice Papon, contestata figura della Francia del dopoguerra: due morti fra i manifestanti per resistenza alle forze dell’ordine. Ma le numerose testimonianze raccolte negli ultimi cinquant’anni hanno consentito agli studiosi di raccontare un’altra storia, una storia di manifestanti gettati nella Senna dal Ponte di Clichy, di corpi tumefatti ripescati dalla polizia fluviale, di cadaveri trovati nei boschi che circondano la campagna parigina. Quel giorno migliaia di donne e uomini algerini sfilavano pacificamente sui Grands Boulevards, vicino agli Champs Elysées, lungo le strade del Quartiere Latino, nonostante il coprifuoco per i cittadini maghrebini imposto dal prefetto di Parigi Maurice Papon, lo stesso che negli anni della Repubblica di Vichy aveva collaborato con i nazisti alla deportazione degli ebrei francesi nei campi di concentramento del Terzo Reich. Erano più di ventimila, giunti da tutta la Francia per sostenere l’attività del Fronte di Liberazione Nazionale per l’indipendenza dell’Algeria, ancora sotto il dominio francese. La reazione della polizia fu incredibilmente violenta: i testimoni raccontano di donne e uomini colpiti dagli agenti di polizia appostati all’uscita della metropolitana, picchiati e insultati senza alcun motivi, decine di manifestanti uccisi a colpi d’arma da fuoco, altri gettati nel fiume dai muraglioni della Senna, con migliaia di manifestanti caricati a forza sui furgoni della polizia e trasferiti allo Stadio Pierre de Coubertin.
Ancora da accertare è il numero esatto dei manifestanti uccisi quella sera. ”Dal diciannovesimo secolo è stata una delle poche volte in cui la polizia ha sparato su degli operai a Parigi”, ha rilevato lo scorso anno storico Benjamin Stora, secondo il quale la repressione avrebbe fatto un centinaio di morti. Lo storico inglese Jim House ha parlato di almeno 120-130 persone, mentre per Jean-Luc Einaudi, autore de La bataille de Paris, sarebbero più di 150. Questo capitolo della guerra d’Algeria in terra di Francia è stato per anni oggetto degli studi di Jean-Luc Einaudi, che con le sue ricerche ha contribuito alla preparazione del processo a Maurice Papon del 1997, nel corso del quale l’ex prefetto fu costretto a parlare di “15-20 morti” nel corso di quella “triste serata”, attribuendo però i decessi a un regolamento di conti fra Algerini.
La brutale repressione delle forze dell’ordine nei confronti dei manifestanti algerini è stata descritta anche nei documentari «Le silence du fleuve», di Agnès Denis e Mehdi Lallaoui del 1991, e «Drowning by Bullets», di Philip Brooks e Alan Hayling del 2003. Lo scorso anno, nel giorno del cinquantesimo anniversario di quegli eventi, è uscito nelle sale cinematografiche francesi il film-inchiesta di Yasmina Adi «Ici on noie les Algériens».
Anche altri testimoni hanno realizzato filmati che raccontano quelle ore, come il video di Lucian, un attivista francese rientrato dalla Guerra d’Algeria, testimone oculare della brutale repressione della polizia di Papon in quella sera d’ottobre 1961. Nel video, Lucian racconta l’orrore della Guerra d’Algeria, lo spaesamento del rientro, la sua volontà di testimoniare in patria quello che faceva l’esercito francese in Algeria, i contatti con gli altri attivisti per la pace, la reazione della stampa francese ai fatti dell’ottobre 1961, la manifestazione studentesca del 1° novembre 1961 con l’intervento di Jean-Paul Sartre, la decisione di apporre quella scritta «Ici on noie les Algériens» sul Quai della Senna, scritta divenuta poi il simbolo della memoria di quel massacro dimenticato. Sono immagini che illustrano in pochi minuti la nascita in Francia di quel movimento anticoloniale e pacifista che condurrà nel 1962 alla proclamazione dell’indipendenza dell’Algeria di Ahmed Ben Bella e di Houari Boumédienne e prefigurano per molti aspetti il Maggio francese del 1968.
Ormai erano in molti a sapere, anche se mancava il riconoscimento ufficiale dello Stato. Lo scorso anno, durante una manifestazione al Ponte di Clichy, divenuto il luogo-simbolo di questo massacro dimenticato, il candidato socialista all’Eliseo aveva assicurato che se fosse stato eletto avrebbe rotto il silenzio su quei fatti. La scorsa settimana, François Hollande ha mantenuto la sua promessa. Chissà se un giorno anche in Italia cadrà il muro del silenzio che avvolge ancora i molti misteri della storia del nostro dopoguerra.