Amra Babić è il primo sindaco d’Europa a portare il velo islamico. Tuttavia, nonostante le reazioni entusiastiche della stampa internazionale, difficilmente la sua elezione sarà un progresso per il Paese.
La stampa internazionale ha molto parlato, nel corso della scorsa settimana, dell’elezione di Amra Babić a sindaco di Visoko, città della Bosnia centrale. Babić, candidata della SDA durante le scorse elezioni amministrative, è “il primo sindaco d’Europa” a portare il velo, in quanto musulmana. Eletta a grande maggioranza, laureata in economia, vedova di guerra, Babić ha attirato i commenti compiaciuti di gran parte dei media internazionali. Che hanno voluto interpretare l’avvenimento come una vittoria della tolleranza e dell’integrazione, una vittoria non solo per le donne ma anche per la coesistenza tra Islam e Occidente (sulla falsa riga di quanto già avvenuto, in termini estremamente diversi, per la Ministra della Cultura Norvegese, Hadia Tajik).
Un video, apparso su Repubblica nei giorni scorsi (e realizzato da TMNews), si dedicava al ritratto del nuovo primo cittadino di Visoko, e spiegava: “La politica viene ancora considerata un dominio strettamente riservato agli uomini. I cittadini hanno ancora molti pregiudizi, soprattutto sulle donne. A maggior ragione se indossano il velo. Ritengono infatti che il loro posto non sia in politica o nella vita pubblica”. Il video concludeva, molto romanticamente: “a volte, per sfondare muri in apparenza impenetrabili può bastare un velo: anzi, un Hijab”.
L’elezione di un sindaco donna, giovane (Amra ha 43 anni) e con l’Hijab sarebbe probabilmente un segno positivo di integrazione in qualsiasi società europea. In Bosnia Erzegovina, tuttavia, un paio di considerazioni dovrebbero essere fatte quando si guarda a ciò che è accaduto a Visoko.
Un candidato con il velo.
La prima riguarda, ovviamente, il velo. Che Amra dice di portare “per semplice scelta di stile”, ma che è anche segno di appartenenza: religiosa e, inutile negarlo, etnica. Il discorso riguardo all’Islam di Bosnia è complesso e il tema sicuramente non è adatto ad un misero post su un miserrimo blog: basti dire che è la storia di un Islam genuinamente Europeo e tollerante, che l’Europa ha cercato in tutti i modi di rovinare. Durante il periodo Titino, la Jugoslavia era paese laico. Una laicità spesso imposta dal potere, ma che era un tutt’uno con la politica di “fratellanza e unità” del Comunismo. La religione, in Jugoslavia, è qualcosa che è rinato a ridosso della guerra, attraverso la riscoperta di supposte identità, etniche e culturali. Il discorso, logicamente, non vale solo per i musulmani: l’ottanta per cento dei Serbi, ha scritto Jože Pirjevec, non era battezzato durante il comunismo.
E’ solo negli anni ottanta, durante la rinascita dei nazionalismi, che la religione ha ripreso spazio nella vita pubblica Jugoslava. Purtroppo in Bosnia Erzegovina, va detto, l’Islam è stato rappresentato da personaggi come Mustafa Cerić, la cui principale preoccupazione durante l’assedio di Sarajevo era controllare che negli aiuti umanitari non ci fosse, sai mai, carne di maiale.
Parlando dell’Islam in Bosnia Erzegovina oggi e del suo ruolo politico, è estremamente sbagliato dire che la SDA è “il partito dei musulmani di Bosnia” e che tutti i musulmani di Bosnia si riconoscano nel messaggio della forza politica che fu creata dal “padre della patria”, Alija Izetbegović. È però vero che, grazie anche al fallimento di Dayton e alla legittimazione de facto della pulizia etnica, una parte della politica Bosniaca ha proposto il concetto di un’identità nazionale basata anche sulla supposta “Islamicità” dei Bosgnacchi.
La vittoria di Amra è sì la vittoria di una persona che indossa l’Hijab. Ma è, malauguratamente, una vittoria etnica. È la vittoria di una parte della società che, tradita dall’Europa, dagli accordi di Dayton, dalla ricostruzione, ha dovuto “inventarsi” un’identità musulmana e Bosgnacca che sotto molti punti di vista è falsa tanto quanto le manfrine che i partiti nazionalisti hanno proposto negli anni Novanta per difendere “i Serbi” o “i Croati” dalla minaccia dei “Turchi”. Sembra retorica, ma un’identità Bosniaca – se esiste – è un’identità che comprende le tre parti, che le unisce: non è la glorificazione di una sola componente a scapito del tutto.
Un candidato con il velo, eletto in qualsiasi provincia d’Italia, sarebbe un bel segnale: l’indicatore, cioè, che alcuni strati della società, fino a ieri emarginati dalla vita pubblica, la accettano e vi sono integrati. Nel caso di Amra Babić viene da chiedersi, spontaneamente, se il velo non sia stato necessario alla sua vittoria. Se, cioè, una donna avrebbe potuto vincere delle elezioni in Bosnia Erzegovina senza aderire all’immagine che è proposta dal partito dominante.
Un candidato donna.
Amra è una donna preparata e competente. È laureata in economia e ha lavorato nell’amministrazione della città per molti anni. Però sospettiamo che la sua vittoria non sia una vittoria “delle donne” bosniache. È una vittoria delle vedove di guerra, questo sì, ed è – ancora – una vittoria del passato sul presente e sul futuro.
Le donne in Bosnia Erzegovina soffrono di pesanti discriminazioni, sia nella vita pubblica che in quella privata (in molti paesi d’Europa non sono messe molto meglio, intendiamoci, ma la questione esula dal ristretto ambito di questo blog). Naša Stranka, partito laico, civico, non legato quindi a nessun concetto di identità etnica, ha voluto candidare molte donne alle scorse amministrative. Donne molto giovani, in alcuni casi sotto i trent’anni, con una formazione eccellente spesso acquisita in ottime università europee, come nel caso di Sabina Čudić a Novo Sarajevo. Inutile dire che nessuna di loro è riuscita ad imporsi come sindaco. Amra sì: il timore è che questo non sia dipeso granché dalla sua laurea in economia o dalla sua esperienza in fatto di amministrazione pubblica.
In un contesto come la Bosnia Erzegovina parlare della vittoria di una candidata con il velo, immaginando che questo rappresenti “una vittoria per l’integrazione e per la tolleranza” pare piuttosto un’illusione da anime belle. Il paragone è un po’ forzato, e me ne scuso in anticipo: ma è come se negli anni sessanta a New York ci si fosse congratulati con Harlem per aver espresso un rappresentante appartenente alla comunità afroamericana. La vittoria di Amra è una vittoria identitaria, che non cambierà di una virgola né la situazione del Paese, né quella di milioni di donne che ci vivono. Dire il contrario è miopia, o forse semplice malafede.