Non è passata inosservata la stravagante performance di Benjamin Netanyahu di fronte all’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Improvvisandosi Bruno Vespa nel salotto di “Porta a Porta”, la scorsa settimana il premier israeliano – a cui mancava soltanto un plastico, magari quello dell’impianto nucleare di Fordo – ha tracciato con un pennarello una linea rossa su un disegno in stile fumetto di una bomba.
Il colpo ad effetto – che ha suscitato anche molto ironia – è servito al governo di Gerusalemme per affermare con fermezza che entro la prossima estate l’Iran avrà raggiunto la fase finale nella produzione di uranio necessario alla realizzazione di un ordigno nucleare. E che, pertanto, il regime degli Ayatollah deve essere fermato, ponendo con decisione una linea invalicabile di fronte alla quale Teheran non potrà andare. In tal modo, ha aggiunto Netanyahu, paragonando il pericolo a quello rappresentato da al-Qaeda, si garantirà più tempo alle sanzioni e alla diplomazia per convincere il governo iraniano «a smantellare del tutto il suo programma di armamento nucleare».
Pur se Netanyahu si è detto «totalmente d’accordo» con Barack Obama, che qualche giorno prima aveva sottolineato come «un Iran con l’arma nucleare non è una sfida che può essere contenuta», le distanze tra Israele e Stati Uniti rimangono. Se per Washington il tempo a disposizione di Teheran per iniziare a collaborare con la comunità internazionale «non é illimitato», per Gerusalemme invece «il tempo stringe» in maniera molto preoccupante.
Di fronte ai cupi scenari di un attacco preventivo da parte di Israele, una notizia incoraggiante proviene dall’impatto devastante delle sanzioni economiche internazionali. L’economia iraniana, infatti, trema sotto il loro peso. Con un calo giornaliero senza precedenti la moneta iraniana – il Rial – ha perso ieri quasi il 18% contro il dollaro. Secondo l’agenzia Mehr, il valore della valuta di Teheran ha perso addirittura l’80% rispetto alle quotazioni di un anno fa, quando le recenti sanzioni petrolifere da parte di Usa e Unione europea (attuate tra gennaio e luglio 2012) non erano state ancora varate.
A causa dei diminuiti proventi della vendita di greggio, sul mercato iniziano a scarseggiare i dollari. Un effetto che presto potrebbe ripercuotersi sui beni di consumo più comuni e peggiorare ancora di più il livello di vita degli iraniani (con un’inflazione che viaggia intorno al 23%). In Israele si festeggia, dal momento che l’economia del regime degli Ayatollah sarebbe «al collasso». Di fronte a riserve valutarie già intaccate, il ministro delle Finanze israeliano, Yuval Steinitz, ritiene che a causa delle sanzioni economiche il governo di Teheran abbia perso tra 45 e i 50 miliardi di dollari di proventi.
Pur se da Teheran minimizzano, la guerra economica contro il programma nucleare iraniano sembra mostrare con forza i primi effetti concreti. Una buona notizia per il precario (dis)ordine del Medio Oriente, di cui (molto probabilmente) non si parlerà mai nel salotto di Vespa.
*Questo testo è apperso, con un titolo diverso, su www.centoquaranta.com il 2 ottobre 2012