Cortei in piazza e ostruzionismo parlamentare: Slovenia e Croazia si ribellano alle politiche di austerità dei rispettivi governi.
Più di 5000 persone hanno manifestato giovedì a Zagabria contro le misure di austerità del governo Croato: è la prima vera protesta di questo tipo nel paese. A dare il via è stata la decisione, da parte dei Socialdemocratici al governo, di eliminare i contratti collettivi per i dipendenti pubblici, allo scopo di ridurre il deficit pubblico. Per più di 180,000 dipendenti pubblici questo ha significato, in molti casi, la fine di un regime che datava ancora all’epoca della Jugoslavia comunista.
Un vero trauma, che non ha lasciato indifferente la cittadinanza. Vilim Ribić, capo del sindacato degli insegnanti, ha dichiarato durante la marcia che questa manifestazione “segna un momento storico: i cittadini e lavoratori croati stanno cominciando a combattere per il proprio futuro”. Il numero dei partecipanti (che per gli organizzatori era di ben 10,000 persone, secondo il noto copione del balletto delle cifre fra sindacati e questura) è importante, se contestualizzato in un paese come la Croazia: questa è la prima vera manifestazione contro la politica di tagli inaugurata dal premier Zoran Milanović. Che ha già fatto sapere di non aver alcuna intenzione di cambiare politiche sociali: “queste misure sono importanti per fare uscire il Paese della crisi ed occorre avere fiducia nel nostro operato”, ha dichiarato il Primo Ministro.
L’economia di quello che dovrebbe diventare, a partire dal luglio 2013, il ventottesimo membro dell’Unione Europea non è solida. PIL in diminuzione del 1,1%, disoccupazione in crescita (ora è del 18%). Per renderla nuovamente competitiva, la maggioranza parlamentare ha previsto un programma di investimenti nel settore energetico e nelle infrastrutture, oltre ai già annunciati tagli alla spesa pubblica.
Se Zagabria piange, Ljubljiana non ride. Anche nell’unico paese dell’ex-Jugoslavia ad essere entrato in Europa sono al vaglio drastiche riduzioni della spesa pubblica che incideranno di molto sullo stato sociale. Il programma presentato dal governo Janša “non ha alternative”, secondo il Primo Ministro Sloveno: una serie di misure che verterebbero su un’ulteriore iniezione di capitale negli istituti di credito; l’inasprimento di alcune tasse, tra cui le rette universitarie; l’aumento dell’età pensionabile (che dovrebbe passare a 65 anni) e la creazione di una “Bad Bank”, che dovrebbe assumere su di sé i debiti del settore in cambio di certificati obbligazionari garantiti dallo Stato. L’obiettivo è di ridurre il deficit pubblico, che ora è del 4,2%, per portarlo al di sotto del 3% previsto nel patto di stabilità.
Il problema principale per Ljubljana è sempre evitare il bailout, che potrebbe essere reso necessario a causa delle pessime performance del settore bancario unite alla drastiche riduzioni delle esportazioni, cardine dell’economia Slovena. Marko Kranjec, capo della Banca Centrale, in un’intervista pubblicata sabato scorso si è detto fiducioso: “se il Paese porterà avanti le proprie riforme sulle pensioni e sul mercato del lavoro, saremo capaci di evitare il ricorso a misure straordinarie di emergenza”. Ciononostante, ha ammesso che i debiti bancari (che attualmente rappresentano il 18,2% del PiL, per circa 6,5 miliardi di €, riporta Reuters) potrebbero aumentare ulteriormente nel corso dei prossimi mesi.
Nel frattempo l’opposizione critica fortemente l’operato del governo, lasciando però intravvedere spiragli per un compromesso: la difficile situazione ha portato il paese “sull’orlo del baratro” e ci potrebbero essere le basi per un riformismo di unità nazionale, sostiene l’economista Mojmir Mrak, dell’Università di Ljubljana. I Socialdemocratici e Slovenia Positiva, principali partiti di opposizione, si sono detti pronti a raggiungere un’intesa con la maggioranza. Finora, però, il loro ostruzionismo è stato fondamentale in Parlamento, dove Janša può contare su una maggioranza molto ristretta. “Ad oggi, la crisi in Slovenia è stata determinata dall’economia e dalla politica in uguale misura: le divisioni all’interno del Parlamento sono un enorme problema per il Paese”, conclude Mrak.