di GIULIANO GASPAROTTI e GUIDO FERRADINI – http://www.officinedemocratiche.it
E’ di ieri la notizia dell’approvazione del regolamento per le Primarie 2012 che ha colmato le vistose lacune del documento varato dall’Assemblea nazionale Pd solo poche settimane fa. Quella che sembrava essere una prova di apertura vinta da Bersani contro i dinosauri del partito si è trasformata in una chiusura vistosa alla partecipazione popolare. In classico stile democrat, si decide in un modo e poi si fa nel modo opposto. E se il buongiorno si vede dal mattino anche il tentativo di far propria la rottamazione da parte del Segretario rischia esclusivamente di far pagare il conto ad un avversario interno storico come il buon Veltroni usato come specchietto per le allodole affinchè nulla (o meglio poco) cambi.
Avanti piano e possibilmente con una via d’uscita che consenta comunque una ricollocazione di chi dovesse rimanere senza poltrona. Caso Melandri al Maxxi docet. Nel Paese dove le competenze ed i titoli valgono molto poco, la musica non cambia ed i consigli di amministrazione delle aziende e degli enti pubblici o collegati rischiano di continuare ad essere delle “discariche” per quei politici che non sono riusciti ad ottenere l’ennesima rielezione.
Cosa è stato deciso dagli espertissimi burocrati di partito? Ecco il capolavoro: per la prima volta nella storia delle Primarie italiane i ragazzi dai 16 ai 18 anni non potranno votare; non è previsto il voto dei democratici all’estero; si raddoppia il costo del contributo (da uno a due euro); la preregistrazione per il ballottaggio deve avvenire entro il giorno prima del voto, non si può effettuare on line e, assurdità delle assurdità, deve avvenire in un luogo differente da quello in cui si vota.
Quale senso attribuire a queste regole kafkiane? Scoraggiare la partecipazione naturalmente, tentando di trasformare il libero esercizio del voto in una corsa ad ostacoli perchè secondo numerosi sondaggi, se dovesse esserci una grande affluenza di voto, Renzi verrebbe dato come favorito.
Regole dettate dalla paura di perdere una competizione e con essa, a cascata, anche il venir meno del poltronificio che negli anni la cosìddetta “casta” ha acquisito e consolidato. Per avere una riprova di quanto detto basta osservare l’entusiasmo e la speranza di cambiamento nei volti di chi segue la campagna di Renzi, rispetto alla preoccupazione che si legge negli occhi di tanti che sostengono Bersani, che da persone “strutturate” non perdono l’occasione per lanciare moniti su futuribili divisioni, scissioni, catastrofi imminenti ovviamente condite da una buona dose di insulti.
Spesso abbiamo parlato della zavorra pesante che Bersani ha con sé: quella di una classe dirigente ventennale che è lì pronta ad impedire qualsiasi decisione chiara ed aperta in un momento storico nel quale, approdati al Governo del Paese, si dovranno adottare provvedimenti che sappiano dare risposte concrete ai problemi del Paese e, quindi, delle italiane e degli italiani.
Con un Pdl che è impantanato nell’incapacità di trovare un leader che succeda a Berlusconi, il Pd rischia, se non riuscisse a rinnovarsi in profondità, di implodere a tutto vantaggio, in entrambi i casi di Grillo e del suo movimento. Sono due prospettive differenti quelle di Bersani e di Renzi: il primo ragiona pensando ad una logica proporzionale, ad un partito di sinistra che non supera il 30% e che quindi dovrà fare accordi in Parlamento per ritrovarsi Monti nuovamente Premier; il secondo in una logica maggioritaria con la quale il Pd, riscoprendo le sue ragioni fondative, sfrutta le potenzialità massime e si candida ad una guida politica effettiva. Aprire, quindi, una fase due della rottamazione proprio da Torino, la città che ha ospitato il discorso del Lingotto.
Paura contro speranza, passato contro futuro, la partita è aperta.