Renato Grbić fa il pescatore. Ha cinquantuno anni, un ristorante e una lunga tradizione familiare alle spalle, passata a gettare le reti all’ombra del Pančevački Most, che unisce Belgrado a Pančevo. Come spesso accade nei casi delle famiglie di pescatori più antiche, i Grbić si sono guadagnati il soprannome di “pinguini del Danubio”, perché passano il loro tempo sul fiume, non importa quanto avverse siano le condizioni atmosferiche. Un mattino di settembre, quattordici anni fa, Renato stava pescando con il fratello. “Sentimmo il rumore di qualcosa che piombava in acqua”, ricorda. I due si avvicinarono, si resero conto che si trattava di un uomo. Si era appena buttato dal ponte, ma i vestiti gli si erano gonfiati d’aria, e questo gli aveva impedito di affogare. “Ricordo di avergli detto, ‘devi essere scemo, pensare di ucciderti con una giornata del genere!’. Discutemmo per un po’, alla fine si decise ad accettare la nostra offerta di aiuto e lo traemmo in salvo. Gli diedi dei vestiti asciutti ed aspettammo l’arrivo dell’ambulanza”.
Da quel giorno di settembre Renato Grbić è riuscito a salvare ben venticinque persone. In tanti, infatti, decidono di farla finita dal Pančevački Most. E’ un luogo particolarmente adatto ai suicidi, perché è l’unico ponte della città sul Danubio, la cui corrente è più forte e fredda rispetto a quella dell’altro fiume di Belgrado, la Sava. Grbić ha deciso di vegliare su coloro che decidono di fare il salto, diciotto metri e poi giù, sul fondo. A ciascuno di essi il pescatore rivolge la stessa domanda: perché lo fanno, ma nessuno risponde. Sono in pochi anche solo quelli che gli rendono grazie. Tra di loro una ragazza, che aveva diciannove anni quando tentò di uccidersi. Renato riuscì ad estrarla dalle acque che già stava affondando. Oggi è sposata ed ha un figlio. Ogni anno torna a trovare il suo salvatore in quello che è diventato il suo “secondo compleanno”.
Grbić col tempo è divenuto un eroe per la gente della capitale. Ma la vita del “superman del Danubio” è fatta, oltre che di riconoscimenti e onorificenze, anche di rimpianti. Per venticinque vite salvate, almeno altrettante sono andate perdute in questi anni. Non è semplice essere eroe: a volte Grbić arriva troppo tardi, e allora vince il fiume. I suicidi affogano oppure li ammazza l’ipotermia, o lo stesso impatto con l’acqua. “Quando sento che qualcuno si è ucciso dal ponte, e io non ero lì, mi sento male. Non posso abbandonare nessuno di loro, sono persone disperate”. Il pescatore continua la sua lotta solitaria contro lo stesso fiume che lo nutre. Ed anche se in pochi si dimostrano riconoscenti, fa nulla: “certo sarebbe bello se passassero qui, al mio ristorante, a prendersi un bicchiere e raccontarmi come stanno ora. Dopotutto, ho dato loro una seconda possibilità”.