Officine DemocraticheAlcoa, un’altra storia italiana

di CRISTIAN IOZZELLI - http://www.officinedemocratiche.it Alle 6.30 del 2 novembre sono state spente le celle 1124 e 1126 dello stabilimento Alcoa di Portovesme. Erano le ultime rimaste attive, ad...

di CRISTIAN IOZZELLI – http://www.officinedemocratiche.it

Alle 6.30 del 2 novembre sono state spente le celle 1124 e 1126 dello stabilimento Alcoa di Portovesme. Erano le ultime rimaste attive, adesso la fabbrica è ufficialmente ferma. La chiusura era annunciata dopo la rinuncia all’acquisto da parte della multinazionale svizzera Glencore, una soluzione che molti accreditavano come l’unica capace di garantire un futuro alla produzione di alluminio nell’isola.

Una multinazionale affidabile, già proprietaria della Portovesme srl e che di recente ha perfezionato la fusione col colosso delle miniere Xstrata, dando vita a una società da 86 miliardi di euro.

In pochi però hanno ricordato la storia di Glencore e del suo fondatore, Marc Rich, un personaggio con tanti lati oscuri, condannato per crimini contro gli Stati Uniti e graziato da Bill Clinton nel 2001. Rich non dirige più l’azienda dalla metà degli anni ’90, ma anche col nuovo corso aziendale (l’a.d. ora è il sudafricano Ivan Glasenberg) Glencore ha avuto i suoi problemi. Nel 2011 la Banca Europea degli Investimenti (Bei) ha sospeso i finanziamenti a Glencore «a causa di serie preoccupazioni legate alla governance». Le accuse – una presunta evasione fiscale ai danni dello Zambia e danni ambientali – erano state sollevate da un gruppo di organizzazioni non governative in relazione alla gestione della Mopani Copper Mines, società che produce rame e cobalto in Zambia.

Perché ricordiamo questi fatti? Glencore aveva chiesto di pagare l’energia elettrica 25 euro a MWh per dieci anni, una condizione definita provocatoria da molti organi di stampa, tra cui il Sole 24Ore. Noi però andiamo controcorrente. Nessuno in America o in Canada si è stracciato le vesti quando Chrysler ha ricevuto prestiti milionari dai governi. Si sapeva che prima o poi li avrebbe restituiti, e lo ha fatto addirittura in anticipo. Ma quella è un’altra storia, gestita da un governo con una seria politica industriale.

Queste invece le cifre della vicenda Alcoa. Tre miliardi di aiuti pubblici in 15 anni senza garanzie su occupazione e futuro dei siti produttivi, senza contropartite. Un business puro e semplice per chi quei soldi li ha presi e ora lascia l’Italia per lidi più favorevoli.

E allora, quale la soluzione per garantire un futuro alla Sardegna e ai lavoratori? L’inserimento nella trattativa di acquisto da parte dell’azienda torinese KiteGen Research potrebbe rappresentare una svolta. La KiteGen è attiva nell’ambito delle energie rinnovabili, in particolare sta sviluppando una nuova tecnologia per la trasformazione dell’energia del vento di alta quota, utilizzando un grande aquilone tipo parapendio. L’azienda avrebbe promesso di acquisire il sito di Portovesme senza riduzioni di personale e di alimentarlo con un 100% di energia da fonte eolica. Sembra un’offerta da prendere in considerazione visto che si tratta di un progetto valutato positivamente anche dai media di mezzo mondo (ecco il video su Corriere.tv)

Il 13 novembre è previsto un incontro coi ministri Passera e Barca, che saranno in Sardegna per un confronto complessivo sulla situazione del Sulcis. E’ il momento delle decisioni. Certo, si può anche scegliere di rimandare ancora la soluzione del problema, continuando a scaricarne il peso sulle generazioni successive. Ma gli errori del passato pesano e peseranno ancora sulle tasche di tutti noi. Alla Corte di Giustizia europea è aperta una procedura d’infrazione per l’Italia, con l’accusa di non aver recuperato dalla stessa Alcoa quelle somme che sono state, secondo la Commissione europea, scontate illegittimamente: circa 250 milioni di euro nei periodi gennaio 2006-gennaio 2007 per lo stabilimento sardo di Portovesme e gennaio 2006-novembre 2009 per quello di Fusina in Veneto, oltre agli interessi. Soldi che venivano presi dalle bollette di tutti noi, ed è praticamente certo che in caso di multa milionaria a pagare saranno di nuovo tutti i cittadini italiani. E allora, continuare a perseverare con questi errori o tentare una nuova via verde? Per chi pensa che questo sia il momento delle scelte coraggiose la risposta è scontata.

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