Nel diciassettesimo anniversario di Dayton, il sito della Republika Srpska, entità serba di Bosnia Erzegovina, pubblica un documento di quaranta pagine sul futuro del Paese, e sulle necessarie riforme costituzionali. L’avvenire della Bosnia? Una federazione di tre entità etniche.
Sono passati diciassette anni dagli Accordi di Dayton, che misero fine al conflitto in Bosnia Erzegovina scrivendo la costituzione della Bosnia Erzegovina indipendente. Oggi la complessità della struttura creata con quel compromesso è vissuta dalla popolazione della Federazione Croato-Musulmana, ma soprattutto dai Bosgnacchi, come una beffa: la Pace è arrivata in un momento in cui l’Esercito di Bosnia stava cominciando a dimostrare la propria superiorità militare sui Serbi; la Pace creata con Dayton – questo quello che si dice – ha “derubato i Bosgnacchi del proprio Stato”, obbligandoli a un’impostura istituzionale che di fatto legittima la pulizia etnica e salvaguarda il potere dei Serbo-Bosniaci.
La modifica di Dayton (un “Dayton 2”, lo chiamano da queste parti) è da tempo all’ordine del giorno. Ma non se n’è ancora fatto nulla: un poco – comprensibilmente – perché toccare Dayton equivale a scoperchiare il vaso di Pandora chiuso in fretta e furia nel novembre ’95. Un poco, e questo è probabilmente il motivo principale, perché Dayton conviene a tutta una classe politica che sullo stallo creato con gli Accordi ha proliferato nell’immobilismo, arricchendosi con gli aiuti internazionali e le privatizzazioni, e rinfocolando a intervalli regolari il nazionalismo per conservare la propria impunità di fronte all’elettorato.
Il documento apparso ieri è, per alcuni versi, una novità assoluta. E manda un segnale che, tra molte cautele, non andrebbe sottovalutato. I Serbi di Bosnia, finora, sono stati sicuramente i ‘grandi vincitori’ di Dayton. Hanno ottenuto una ‘loro’ entità, che prima della guerra non esisteva. Hanno ottenuto un potere di veto sul governo centrale che hanno volentieri esercitato, ricattando Sarajevo e spesso imponendo delle crisi politiche. Da questa posizione deriva la retorica usata da Dodik negli ultimi anni, come ‘strenuo difensore’ di Dayton, di una Republika Srpska ‘amica della pace’ e fedele agli accordi patrocinati dagli Americani.
Improvvisamente, ed è la prima volta nella recente storia politica del Paese, i Serbi di Bosnia tentano la fuga in avanti. Invece di giocare all’immobilismo, mettono una proposta concreta sul tavolo. I tempi sono in parte propizi: la Comunità Internazionale è distante e ‘in tutt’altre faccende affaccendata’; le modifiche alla Costituzione sono volute dall’Unione Europea, anche se l’obiettivo sarebbe quello di tentare di normalizzare la vita istituzionale del Paese, non di farlo a pezzi definitivamente.
Nelle quaranta pagine del documento – formalmente firmato dall’Accademia delle Scienze e delle Arti di Republika Srpska – viene proposta un’idea di Bosnia Erzegovina divisa in tre. L’unico modo per mettere fine allo stallo istituzionale che di fatto dura da diciassette anni è dividere il Paese in tre entità separate. Una Repubblica “una e trina”, basata sul modello Costituzionale Americano. Nel piano non si lesinano critiche allo OHR, visto come un ostacolo, un’inutile ingerenza che danneggia la democrazia nel Paese. “Il futuro della Bosnia Erzegovina come di uno Stato basato su tre nazioni costitutive” recita il documento, analizzato dal quotidiano Sarajevese Oslobodjenje “può assumere solo due direzioni: la prima è la formazione di una vera federazione di tre entità, con la creazione di un’entità Croata avente pari dignità costituzionale delle altre. La seconda è il collasso, sempre con la formazione di tre entità su base etnica”, ma su condizioni “che non risolverebbero la questione Croata”. Una soluzione che, per gli autori del comunicato, “sarebbe anche negli interessi degli Stati Uniti, in quanto promotori dell’iniziativa” di diciassette anni fa.
Milorad Dodik, in un momento cruciale per la Bosnia Erzegovina, indica – seppur timidamente – la necessità di una “devolution” che sa (molto) di dissoluzione del Paese. Il fatto è che in questo momento l’idea rischia di sembrare credibile. Sugli esiti della riforma costituzionale (se mai ci sarà) non è possibile fare previsioni. Se un cambiamento in senso centralizzatore non incontrerà mai il consenso necessario, a causa dell’opposizione di Serbi e Croati, non si può escludere del tutto l’eventualità opposta. Con il passare del tempo, la prospettiva di una divisione del Paese potrebbe assumere sempre maggiore consistenza.