Officine DemocraticheIl lavoro prima di tutto, anche se Bersani non ha una proposta concreta

di GUIDO FERRADINI e GIULIANO GASPAROTTI - http://www.officinedemocratiche.it Uno dei temi forti di quella parte del Partito Democratico che si riconosce nella proposta di Pierluigi Bersani è il “...

di GUIDO FERRADINI e GIULIANO GASPAROTTI – http://www.officinedemocratiche.it

Uno dei temi forti di quella parte del Partito Democratico che si riconosce nella proposta di Pierluigi Bersani è il “lavoro”. Tanto che il segretario ha utilizzato fin dall’inizio proprio lo slogan, “il lavoro prima di tutto”.

Ci saremmo quindi immaginati una idea dettagliata e compiuta che, affrontando le molteplici emergenze della materia e considerando il recentissimo intervento operato con la riforma Fornero, ponesse le basi di un deciso intervento riformista..

Abbiamo valutato se la proposta contenuta nelle proposte per l’Italia potesse essere considerata sufficientemente articolata. Per far ciò abbiamo analizzato le “dieci idee per cambiare” con attenzione per capire quale futuro si immagina per una regolamentazione del diritto del lavoro degli anni a venire.

Le proposte sono riassunte in una pagina.. Dopo una introduzione piuttosto generale (e generica) sull’importanza del lavoro nella società moderna (cosa di cui nessuno dubita) vengono elencate le idee. Che di seguito si riportano.

A) ridisegno profondo del sistema fiscale che alleggerisca il peso sul lavoro e sull’impresa, attingendo alla rendita dei grandi patrimoni finanziari e immobiliari

B) contrasto alla precarietà, rovesciando le scelte della destra nell’ultimo decennio.

C) Abbattimento della spirale perversa tra bassa produttività e compressione dei salari e dei diritti, aiutando le produzioni a competere sul lato della qualità e dell’innovazione.

D) Introduzione di politiche fiscali a sostegno dell’occupazione femminile, ancora adesso uno dei differenziali più negativi per la nostra economia, in particolare al Sud. Serve un grande piano per aumentare e migliorare l’occupazione femminile, contrastare la disparità nei redditi e nelle carriere, sradicare i pregiudizi sulla presenza delle donne nel mondo del lavoro e delle professioni.

E) Legge rappresentanza che consenta l’esercizio effettivo della democrazia per chi lavora. Non possiamo consentire né che si continui con l’arbitrio della condotta di aziende che discriminano i lavoratori, né che ci sia una rappresentanza sindacale che prescinda dal voto dei lavoratori sui contratti.

La prima idea è quella di spostare la tassazione dal capitale alla rendita. Un’idea giusta e perfettamente condivisibile. Si propone di ridurre il cuneo fiscale tassando le rendite: ovvero attraverso l’introduzione di una patrimoniale sui beni finanziari e immobiliari dei cittadini. Questo è quanto cerca di fare, fra mille difficoltà, l’attuale Governo che proprio in queste ore opera per cercare di ridurre il cuneo fiscale dell’1%. Un’idea non nuova (sebbene del tutto condivisibile), posto che fu uno dei cavalli di battaglia di una passata campagna di Romano Prodi. Per il resto però la proposta Bersani lascia smarriti. Nella redazione delle proposte si è forse dimenticato che un primo “spostamento” della tassazione dal reddito alla “rendita” è già stata portata a regime dall’attuale Governo, attraverso la “dolorosa” introduzione dell’IMU, diretta a colpire proprio il patrimonio immobiliare. Accanto a questo il segretario strizza l’occhio alla CGIL per l’introduzione di una ulteriore tassazione sui grandi patrimoni finanziari. Sulla non opportunità di questa proposta si è già abbondantemente scritto e mi riporto all’esauriente documento dell’amico Ernesto Ruffini (che si può leggere su http://ruffini.blogautore.espresso.repubblica.it/2012/10/22/bersanomics-vs-renzinomics-4-l%E2%80%99imposta-patrimoniale/).

Il primo punto non è quindi un intervento propriamente di politica (diritto) del lavoro, ma una operazione di politica fiscale. Che in parte è in via di realizzazione; in parte, a nostro modesto, avviso, del tutto sconsigliabile.

La seconda idea è un bellissimo proposito. Rovesciare la precarietà. Sottoscriviamo in pieno. Se l’intenzione è degna di tutto il rispetto, non viene però formulata alcuna proposta concreta. Non ci viene detto come questo “rovesciamento” dovrebbe essere portato a termine. Sembra però di capire che sia considerato un dato acquisito il dualismo del mercato (fra insiders e outsiders, nella terminologia ichiniana), che però viene tuttora negato da molti dei sostenitori del segretario, fra cui l’economista Stefano Fassina. Il programma però dimentica alcune importanti assunti. Il primo. Il precariato non nasce solo sulla base delle proposte della Destra, ma ha tratto originaria linfa dalla Riforma del Mercato del lavoro ispirata da Tiziano Treu. Naturalmente non è nostra intenzione demonizzare quella legge, che sicuramente rispondeva ad una necessità di flessibilizzazione del mercato del lavoro, al tempo difficilmente procrastinabile. Ma sostenere che la “precarietà” è responsabilità esclusiva della Destra è affermazione certo non esatta.

Il secondo assunto ha invece conseguenze concrete di maggiore impegno. Una affermazione forte quale la “condanna del precariato” tout cour avrebbe avuto un significato ben diverso qualche mese fa. Ma oggi Bersani pare dimenticarsi di ciò che è accaduto negli ultimi mesi. Fatti peraltro di non proprio di marginale rilievo, fra cui l’intervento operato sui contratti parasubordinati o non a tempo indeterminato dalla legge 92/2012. Che ha avuto come obiettivo primario proprio la riduzione delle forme di flessibilità considerate “cattive”. Non da ultimo – giusto a titolo di esempio – la pressoché cancellazione pratica del contratto a progetto. Peraltro le iniziali proposte della Fornero ci erano parse fin da subito migliori di quelle risultanti all’esito dell’iter Parlamentare. Ma su questo ultimo punto abbiamo già scritto a ridosso della sua emanazione (si veda http://www.officinedemocratiche.it/index.php?option=com_content&;view=article&id=152:cosa-resta-della-riforma-fornero-che-diventa-legge&catid=34&Itemid=174 ). La cosa che lascia interdetti è l’assoluta mancanza di una concreta risposta sulle misure da adottare per favorire un miglioramento del quadro normativo. Non si prende neanche posizione sulla recente riforma, senza svelare alcunché sulla linea che si vorrebbe seguire. Tutto ciò è politicamente ben comprensibile considerato che fra i sostenitori del segretario vi sono posizioni non solo diverse, ma addirittura diametralmente opposte. Non può funzionare da soccorso il richiamo a procedenti documenti elaborati dal Partito Democratico (o dalla lettura di alcuni libri “ispiratori”), posto che il quadro normativo è del tutto sconvolto in seguito alla recente riforma.

In sostanza – dispiace dirlo – manca non solo una proposta vera e propria, ma una credibile analisi del contesto politico normativo.

Il terzo punto del programma è dedicato all’occupazione femminile. Indubbiamente il basso tasso di occupazione di quella metà del cielo è uno dei gravissimi problemi (mai risolti) del nostro paese. Benissimo. Siamo d’accordo. Ma anche in questo caso ci si limita ad una enunciazione di principio, perché proposte concrete non ve ne sono, se non quella di una tassazione agevolata per le lavoratrici donna. Ancora una volta non è dato sapere se le scelte operate dal Governo con la Riforma Fornero si condividono o meno. E se ciò non fosse, quale sono le idee alternative?

A dire il vero, in questa parte del programma – accanto alle donne – ci saremmo aspettati due parole a favore dell’occupazione giovanile. Altro endemico problema del nostro mondo produttivo. Purtroppo il tema è del tutto ignorato.

La quarta “proposta” fa riferimento ad un generico “abbattimento della spirale perversa tra bassa produttività e compressione dei salari e dei diritti, aiutando le produzioni a competere sul lato della qualità e dell’innovazione, punti storicamente vulnerabili del nostro sistema”.

A ben guardare in questo caso neanche l’analisi è chiara ed esaustiva. Sembra di capire che, secondo questa impostazione, la compressione dei salari sarebbe stata determinata dalla bassa produttività italiana. Ora e’ certamente vero che se il valore aggiunto della produzione e’ basso e’ difficile avere alti salari. Basti pensare alla differenza di retribuzione tra un lavoratore di McDonald e uno di Google. Non e’ pero’ evidente come si pensi di trasformare l’Italia nella Silicon Valley, se non investendo in formazione e favorendo lo sviluppo di una imprenditoria abituata a vivere nei mercati globali e non a chiedere sostegni nei palazzi romani. Non e’ certo con la spesa pubblica che si migliora la capacita’ di innovare degli imprenditori. Semmai il ragionamento da fare dovrebbe essere esattamente il contrario.

Se è vero che la produttività è un problema annoso (considerato che tutte le analisi statistiche confermano il crollo del sistema Italia negli ultimi 30 anni anche da questo punto di vista) non si vede il nesso diretto fra bassa produttività e diminuzione dei salari. Semmai ci saremmo aspettati, sotto forma di proposta, leggere di sistemi retributivi che premino la produttività. Cosa non solo raramente avvenuta in Italia per l’opposizione di alcune sigle sindacali, ma resa difficile, fino al più di recente accordo interconfederale del giugno 2011, dalla diffidenza verso una contrattazione collettiva di secondo livello. Purtroppo nulla di ciò si legge nel programma. E neanche può desumersi dalle dichiarazioni rilasciate del segretario agli organi di informazione..

Infine. La legge sulla partecipazione dei lavoratori nella gestione delle aziende sindacale. Tema certo importante, ma non di massima emergenza, posto che se ne parla da oltre 50 anni, senza che nessun passo avanti sia stato mai fatto.

Forse più interessante potrebbe essere il richiamo alla “rappresentanza sindacale che non prescinda dal voto dei lavoratori sui contratti”. L’affermazione invero pare quantomai criptica. Forse potremmo desumere un intento di regolamentare la rappresentanza sindacale ed una apertura verso un superamento del diritto sindacale provvisorio? Forse. Ma anche se fosse ( e lo accoglieremmo con soddisfazione) si tratta di ben poco di più di una enunciazione di intenti. Insomma, ancora una volta, nulla che possa considerarsi una proposta concreta.

In sostanza, proprio perché il lavoro “sarebbe” prima di tutto, ci saremmo aspettati prese di posizione più definite e proposte dettagliate. Non concentrando l’analisi solo sul lavoro subordinato.

La base di partenza della proposta parte da una visione fortemente pessimistica, che vede il mondo del lavoro quasi un coacervo di soprusi e vessazioni nel quale il datore di lavoro opererebbe animato da una volontà di sfruttare i suoi dipendenti. Ponendo come paradigma la “fabbrica” novecentesca (o forse addirittura ottocentesca!) come unico luogo della produzione.

Riteniamo invece che il mondo del lavoro sia altro. Accanto alla fabbrica esistono il lavoro intellettuale ed autonomo, il terziario avanzato, l’agricoltura, il lavoro creativo, le mille realtà del commercio ed una realtà caratterizzata da mille sfaccettatura e volti diversi. Dove spesso – per rimanere al lavoro subordinato – il lavoratore e il datore di lavoro operano, uno accanto all’altro, per la crescita della Società. E dove, ovviamente, possono esistere motivi di contrasto, che possono però essere superati per mezzo di una regolamentazione più moderna dei rapporti.

Le soluzioni esistono, le proposte ci sono.

Ma queste non trovano spazio davvero nel programma di Pierluigi Bersani.

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