L’intonarumoriUna serata in compagnia dei cowboy tossici

  Per i Cowboy Junkies, gruppo fattosi conoscere nel lontano 1988 grazie ad un disco, Trinity Session, registrato in una chiesa di Toronto e caratterizzato da un suono caldo, avvolgente ed elegant...

Per i Cowboy Junkies, gruppo fattosi conoscere nel lontano 1988 grazie ad un disco, Trinity Session, registrato in una chiesa di Toronto e caratterizzato da un suono caldo, avvolgente ed elegantemente spoglio, inscindibilmente legato a quella location, i luoghi in cui la musica prende corpo (eseguita o catturata su disco) rivestono da sempre una grandissima importanza. La prima data del loro tour italiano, che ha come titolo “An Evening With” (come a dire: non si tratta di un concerto tra i tanti), è il 21 novembre a Maison Musique, locale multifunzionale situato sulla collina di Rivoli a poche centinaia di metri dal Museo d’Arte Contemporanea e ricavato da un vecchio macello di epoca liberty, che con gli anni è diventato un luogo di aggregazione musicale dalle enormi potenzialità, talvolta ridimensionate dalla proverbiale difficoltà dei torinesi ad alzare il culo e percorrere quei quindici chilometri che separano la cittadina dal capoluogo. Ma questa volta non ci sono problemi: la band dei fratelli Timmins appartiene a quella categoria di artisti accompagnati da un seguito numericamente non imponente ma tenace, trasversale e soprattutto fedelissimo. I posti in platea sono tutti occupati e c’è pure un gruppo di fan provenienti dalla Svizzera (!)

La serata sarà divisa in due parti, fa sapere dal palco l’affascinante Margo Timmins non appena inizia lo spettacolo: una prima sezione dedicata alla quadrilogia Nomad recentemente pubblicata, quattro dischi che spaziano tra pezzi originali e riletture di brani altrui (un intero album è dedicato alle canzoni dello scomparso Vic Chestnutt), una seconda dedicata ai classici di un repertorio ormai venticinquennale. La cura per i suoni è maniacale e nei pochi istanti che separano l’ultima nota del brano dal primo applauso la presenza del silenzio è davvero qualcosa di tangibile. I musicisti sul palco hanno sviluppato negli anni un notevole gusto per le sfumature e un eclettismo impeccabilmente misurato. La chitarra di Michael Timmins, venata di blues, non disdegna le distorsioni e va a costituire una solida impalcatura di riverberi, cementata dalla sezione ritmica costituita dal fratello Peter e dal bassista Alan Anton: l’intesa tra i due permette a tutto il resto di fluire senza intoppi. E poi c’è un mandolinista che grazie a pedali ed effetti trasforma il proprio strumento in un formidabile moltiplicatore di possibilità espressive, lavorando sui dettagli.

La voce di Margo è incantevole, profonda ed emotivamente carica come ci si attende, e denuncia un entusiasmo appassionato nei confronti di una tradizione, quella nordamericana, percorsa in lungo e in largo. Si scomodano country, blues, bluegrass, rock e grandi songwriter come Townes Van Zandt (della cui Lungs viene eseguita una magnifica versione acustica) e Neil Young, che chiude con una impeccabile Don’t Let It Bring You Down il bis. Poco prima erano arrivati brani colossali come Misguided Angel e la celebre Blue Moon Revisited (A Song For Elvis), per metà omaggio e per metà cover, sintesi perfetta, più efficace di qualsiasi descrizione, della poetica del gruppo.

Immeritatamente relegati al ruolo di precursori di un certo modo di affrontare il repertorio americano, figlio del punk, lontano dalla retorica e carico di quel genere di amore che solo chi, cercando di ridimensionare i miti dei genitori, si accorge che questi parlano la loro stessa lingua, i Cowboy Junkies hanno inciso molta altra musica dopo l’epocale Trinity Session, e la serata di Maison Musique ci ha fatto capire che il loro viaggio di scoperta e la loro appassionata ricerca non solo hanno proseguito il loro percorso ma rimangono saldamente proiettati in avanti.

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