L’intonarumoriL’anima malinconica degli Spain

Il ritorno dei losangelini Spain sul suolo piemontese ha il sapore di una nostalgia non troppo invadente e comunque inevitabilmente connessa alla natura stessa della musica proposta da Josh Haden e...

Il ritorno dei losangelini Spain sul suolo piemontese ha il sapore di una nostalgia non troppo invadente e comunque inevitabilmente connessa alla natura stessa della musica proposta da Josh Haden e soci. Il quintetto, guidato da un figlio d’arte di talento, uno che sembra sempre aver vissuto in maniera piuttosto tranquilla l’ingombrante figura paterna (il contrabbassista Charlie Haden, uno dei protagonisti del jazz dell’ultimo cinquantennio) si è esibito a Maison Musique, Rivoli, il 15 dicembre, in occasione dell’ultima data del tour italiano. Il secondo quest’anno dopo una manciata di date primaverili in concomitanza con l’uscita di The Soul Of Spain, primo disco in dodici anni.

I motivi di un’assenza così lunga? Il peso di essere un gruppo di culto con pochi riscontri, probabilmente, l’esaurirsi di una fase creativa e la necessità di trovare nuovi spunti. Le nuove canzoni mantengono in ogni caso un profondo legame con il passato pur assecondando una vena più diretta e pop, ma l’esecuzione è qualcosa di più di una questione di sfumature: in un gruppo del genere è il “come” vengono suonate le canzoni a rappresentare il fulcro del discorso. Haden è un cantante e bassista che sa tessere atmosfere e sentimenti con il minor numero di note possibili e una voce apparentemente tenue ma in realtà sempre straordinariamente espressiva. I musicisti che lo accompagnano lo fanno in maniera discreta e calibrata ma con la partecipazione di chi è esattamente sulla stessa lunghezza d’onda. Alla fine non ci sono differenze palpabili tra le canzoni nuove e quelle di The Blue Mood Of Spain, il disco d’esordio che nel lontano 1995 aveva fatto conoscere quella musica così lenta e densa, venata di jazz e di blues, felpata e notturna senza mai essere patinata.

Introdotti dall’esibizione in acustico di Fabrizio Cammarata, uno che si è nutrito di America senza diventare un pedissequo manierista (non sono poi in molti, ora come ora), gli Spain hanno ripercorso in un’ora e mezza di concerto, bis inclusi, la loro carriera, una prova in crescendo culminata con la lunghissima World Of Blue, cavalcata maestosa affidata alle chitarre elettriche e ancorata alla pulsazione minima e costante del basso. Con una coda altrettanto intensa nei bis, dove hanno eseguito quella Spiritual che, riproposta pure da Johnny Cash, resta forse il loro brano più conosciuto. Anche lì una lezione magistrale su come entrare nel cuore della musica risucchiando nel gorgo l’ascoltatore per mezzo di un gospel di rara intensità. La malinconia è una cosa seria ma può anche essere lieve e affascinante, e non intrappolarci nel passato.

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