Dopo due approfondimenti legati al cinema USA (e prima di addentrarci anche in altri mercati, primo tra tutti quello cinese), un momento dedicato al cinema italiano – in senso lato, meglio quindi sarebbe scrivere cinema “in Italia” – e al 2012 appena concluso.
Gli incassi generali sono stati bassi, dato indiscutibile: l’ultimo grido di allarme si è sentito alla diffusione dei dati sui due giorni storicamente migliori per il box office italiano, Natale e Santo Stefano. Nel 2012 si è registrato un netto -25% rispetto agli stessi giorni del 2011, addirittura -33.9% a Natale: e se si aggiunge che da gennaio a novembre il totale incassato era pari a -10.7% rispetto all’anno precedente (già in calo dell’8,5% tra incassi e presenze rispetto al 2010), è chiaro che le cose bene non stiano andando.
I protagonisti del cinema di casa nostra hanno quindi iniziato a lanciare accuse: per prima, come sempre, è stata chiamata in causa la pirateria, ma vogliamo dirlo una volta per tutte che i film italiani sono i meno colpiti da tale fenomeno quando escono in sala, perché non si trovano da scaricare fino alla loro uscita in dvd nei mesi successivi, e quando capita è solo in copie di qualità terribile e quasi sempre incomplete?). Pietro Valsecchi chiede la riduzione del biglietto a 5 euro, Giampaolo Letta di riformare l’intero sistema.
Secondo i dati SIAE sul primo semestre 2012 nel settore si è registrata una flessione in quasi tutti gli indicatori del consumo di spettacolo: dagli ingressi con -16,77% alla spesa del botteghino (-14,74%), alla spesa del pubblico (-16,77%) e al volume d’affari (-14,53%). Una tendenza che per quanto diminuita non è di certo stata ribaltata nel resto dell’anno.
A ciò si aggiunga l’arretratezza dell’adeguamento italiano al futuro digitale del cinema (dall’1 gennaio 2014, tra meno di un anno, le sale o saranno digitalizzate o non potranno più far vedere nuovi film): a metà novembre su un totale di 3.872 sale italiane, erano “a posto” meno del 50% (nonostante alcuni sostegni pubblici: il processo costa a ogni sala trai i 50 e i 70.000 euro). Solo la Spagna in Europa è “lenta” come noi, se non peggio.
Non a tutti ovviamente le cose vanno nello stesso modo. Ad esempio Warner Bros. Pictures Italia, che ha ricevuto il Biglietto d’Oro alle Giornate Professionali di Cinema di Sorrento come prima distribuzione cinematografica italiana per incasso e spettatori, con una chiusura da record intorno ai 140 milioni di euro nel 2012. Ma è un’eccezione, gli altri arrancano, se è vero che la stessa Warner è riuscita ad acquisire lo scorso 31 ottobre tutta la library home video di Medusa (“Scelta strategica”, il commento di Letta), con la casa berlusconiana anche tesa a diminuire la produzioni “a rischio” (il caso “3 uomini in buca 9″ di Francesco Ranieri Martinotti è stato il primo) e impegnata a vendere al miglior offerente la catena di 350 sale The Space (di cui detiene il 49%, il rimanente 51% è del gruppo Benetton), “rea” di aver segnato un -11% negli introiti.
Quando poi un film che vince un festival importante come quello di Roma, pur tra mille polemiche, si “accontenta” di 88.000 euro di incassi, come avvenuto a “E la chiamano estate” di Paolo Franchi (la soddisfazione è stata espressa dalla produttrice Sonia Raule in un’intervista rilasciata a Panorama prima di Natale: “La media per sala era buona”), qualcosa evidentemente non funziona come dovrebbe (considerando anche altri titoli premiati e apprezzati, il discorso cambia purtroppo di poco: “Cesare deve morire” ha portato in sala solo 121.000 spettatori, “Il primo uomo” di Gianni Amelio 130.000).
Nell’anno migliore da qualche tempo a questa parte per quanto riguarda i riconoscimenti internazionali al nostro cinema (Orso d’Oro ai Taviani, Gran Premio della Giuria di Cannes a Garrone, e anche il successo di Franchi a Roma), proprio in casa nostra si registrano i segnali più preoccupanti. Già, perché le vendite di film tricolore nel mondo aumentano (secondo i dati ANICA nel quinquennio 2006-2010 il 60% dei film prodotti in Italia ha circolato all’estero), e importanti accordi di co-produzione internazionale iniziano a dare i loro frutti (come quello tra Italia e Cina, firmato personalmente dal Presidente Giorgio Napolitano, con partner come Cctv6 e Tianjin Tv già al lavoro).
In un panorama non positivo in termini assoluti economicamente, ancora peggio va proprio alle produzioni italiane. Tra i 100 maggiori incassi del cinema in Italia comanda un italiano, “Benvenuti al Nord”, con 27 milioni, ma in top ten c’è solo un altro “nostro” titolo, “Immaturi: Il Viaggio”, decimo con 11,8 milioni. Due incassi, oltre tutto, debitori fortemente del grande successo dei rispettivi “prequel” del 2011.
Nessun altro titolo italiano supera quota 10 milioni, con Verdone e i suoi “Posti in piedi in paradiso” fermi a 9.3 e al tredicesimo posto. Poi i film di Natale, “Com’è bello far l’amore” e “Viva l’Italia”. Sono solo 7 i film capaci di far andare in sala più di un milione di persone (come detto più volte, è questo il vero dato che conta per testare la salute del cinema), mentre per esempio in Francia – mercato tra i più in forma del mondo, su cui torneremo nei prossimi giorni – nel 2012 sono stati ben 16 a farcela, di vario genere e di vario livello (con oltre 200 milioni di biglietti venduti in totale, quando noi fatichiamo ad arrivare a 100…).
Qualità minore dei film o problemi strutturali? Pirateria o crisi economica? Probabilmente tutti questi fattori concorrono al calo, che preoccupa giustamente ma che è figlio della prevedibilità dei nostri prodotti: il boom di Checco Zalone ha fatto sì che solo le commedie diventassero appetibili per i produttori, e allora via a ingolfare le sale con prodotti spesso raffazzonati e inadatti, cosicché anche i tanti amanti del genere hanno iniziato a non rispondere più sempre “presente”.
La spinta verso un futuro migliore deve nascere da più parti: il pubblico deve tornare a farsi sentire, scegliendo in sala il meglio e non quello che passa (pur con tutte le difficoltà del caso, tra crisi economica e sale sempre più rade), l’industria deve avere più coraggio nel variare la propria offerta e nel credere nei propri prodotti (razionalizzando i contributi pubblici una volta per tutte, ad esempio), e gli autori devono avere una visione più “collegata” con la realtà che li circonda, senza rimanere chiusi nella loro “torre”.
Gabriele Muccino nei giorni scorsi ha lanciato il suo manifesto su Il Messaggero, e subito molti colleghi gli hanno dato ragione. Staremo a vedere, nella speranza che non sia troppo tardi: se il passato glorioso è irraggiungibile (ma da qualunque cinematografia nel mondo), un futuro tra le cinematografie più interessanti d’Europa è ampiamente alla nostra portata. Il 2013 vedrà il ritorno in sala di molti nomi importanti (Tornatore, Salvatores, Sorrentino), potenzialmente il miglior modo per ridare lustro – e incassi – al cinema italiano.