In principio è cinemaPresente e possibile futuro dell’industria cinematografica USA

Il ritratto della “filmmaker of the year” Megan Ellison è stato il primo atto in questo blog di una analisi della salute economica dell’industria cinematografica (non solo USA, ovviamente), partend...

Il ritratto della “filmmaker of the year” Megan Ellison è stato il primo atto in questo blog di una analisi della salute economica dell’industria cinematografica (non solo USA, ovviamente), partendo da un caso singolo per arrivare ad addentrarci in dinamiche più “macro”. Se la Annapurna è un caso unico, come sono messe le cose per Hollywood in questo inizio 2013?

Partiamo da alcuni dati: il 2012 per il cinema USA è stato da record, gli incassi complessivi hanno raggiunto i 10,84 miliardi di dollari, superando anche l’anno di “Avatar”, il 2009, fermo a quota 10,59 (e con +6.6% rispetto al 2011).
Risultati (così come i continui stravolgimenti degli incassi dei singoli film) falsati da un semplice fatto: l’inflazione sale, i prezzi aumentano, il 3D e l’Imax gonfiano ulteriormente i dati e superare gli anni precedenti è sempre più semplice (per il motivo opposto, contare i “pezzi” venduti e non gli incassi, da anni ormai l’industria discografica risulta in perdita). Più onesto sarebbe quindi analizzare i biglietti venduti, e qui le cose infatti cambiano un po’: nel 2012 sono stati 1.365 miliardi (spalmati su 655 film, numero più alto della storia), meglio dei 1.283 del 2011 ma peggio, ad esempio, dei 1.412 del 2009.

Le cose vanno bene, dunque? Tutto sommato sì, calcolando gli incassi worldwide.

Il mercato cinese si è aperto (quasi) definitivamente, e i risultati si sentono: per la prima volta nella storia, infatti, il box office cinese nel 2012 ha visto i film stranieri battere quelli nazionali (nel 2011 i cinesi avevano raccolto il 53% degli incassi, scesi al 47.6% del 2012), e “straniero” in questo caso significa principalmente blockbuster hollywoodiano (con “Titanic 3D” e “The Avengers” a farla da padroni).

E anche i capitali iniziano ad arrivare dai mercati emergenti per sostenere il cinema a Hollywood, con l’accordo tra la società indiana Reliance Entertainment e i Dreamwork Studios di Steven Spielberg (da “The Help” a “Lincoln”, per ora, realizzati insieme); ma anche la società malese Red Granite che contribuisce fattivamente alla realizzazione del nuovo Scorsese, “The Wolf of Wall Street” (a guidare la società il figlio del primo ministro della Malesia, Riza Aziz). Linfa preziosa per un’industria che altrimenti faticherebbe, con i costi sempre più alti dei kolossal e le perdite causate da crisi economica e pirateria.

Nell’anno della grande acquisizione da parte di Disney della Lucasfilm, inoltre, oltre ai fratelli Ellison sono tanti i giovani produttori indipendenti che stanno trovando spazi e successi a Hollywood: dalla BCDF Pictures (7 film in 18 mesi, tutti stile Sundance, tra cui “The Wedding Party” e “Liberal Arts”) alla Before The Door Pictures (in cui figura anche l’attore Zachary Quinto, interprete di “Margin Call”, da loro prodotto), dalla Super Crispy Entertainment (a cui si deve il premiatissimo “Like Crazy”, “Smashed” e “Nobody walks”) alla XYZ Films, che ha prodotto il cult d’azione “The Raid: Redemption” (senza dimenticare altri nomi, come quelli di Alicia Van Couvering, i fratelli Duplass, Sopia Lin, la Borderline Films (“La fuga di Martha”), Teddy Schwarzman, Michael Benaroya, Sunil Perkash…

Compagnie giovani e attente ai gusti del pubblico, che sanno costruire anche con pochi soldi e iniziano ad ottenere riscontri non solo dai critici ma anche in sala: il futuro è assicurato (qualitativamente), l’importante è che l’industria regga in questi anni difficili.

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