Quella cosa allo stomaco, quella cosa ti stringe, e si chiama già nostalgia. Nostalgia del buio che trovavo la mattina, arrivando nel seminterrato; del caffè e della sigaretta con uno dei tanti malati di adrenalina che passava di qua ogni giorno; nostalgia della passione e della critica – spesso – di chi ha seguito questo giornale negli anni della mia direzione, cioè dalla sua fondazione. Nostalgia del va e vieni nella mia stanza, delle facce dei mie colleghi, delle voci, delle intelligenze di ciascuno di loro. Mi mancherà quella vecchia stanchezza di giovani mestieranti, che la sera se ne andavano a casa pensando già a cosa frugare e indagare la mattina dopo. Mi mancherà il senso di libertà che ti dà, dentro alla storia che avevo sognato e coltivato, guadagnare poco più di duemila euro al mese (48mila euro annui), sentendoti però l’uomo più ricco di Milano.
Mi mancheranno – mi mancano già da un po’, invero – i momenti eroici degli inizi, quel senso di unità di intenti tra persone e storie molto diverse che guardavano sempre nella stessa direzione, che si mandavano al diavolo anche tre volte al giorno, e così quasi testimoniavano la stessa voglia, la stessa fame, e quell’alchimia strana – che all’improvviso si rompe – e ha il nome di fiducia. Mi mancherà il dover riconoscere gli errori e i cedimenti che quando sei direttore pesano il triplo, ma quando li ammetti ti fanno crescere tanto di più; mi mancherà la soddisfazione di vedere la curva di Google analytics (soprattutto quando saliva); mi mancheranno alcuni nomi di visitatori seriali della mia mail, di quelli che ti propongono sei pezzi al giorno, di quelli che chiamano sempre quando non è il momento. Mi mancherà la certezza che ogni giorno qualcuno dei miei colleghi mi avrebbe sempre insegnato qualcosa. Mi mancheranno i blogger geniali, coraggiosi, sfacciati, i talentuosi innamorati di sé e i volenterosi che hanno capito che non solo i fuoriclasse vincono i mondiali.
Mi mancheranno i momenti in cui, d’improvviso, tante volte qua dentro, ci è sembrato che i fili di una storia si tendano, tutti insieme, e ti spieghino un quadro, un disegno di lungo periodo, uno scenario, o un tessuto da cui emerge un’intuizione. Non mi mancheranno gli “onori” e il nome di “direttore”; non mi mancherà la fatica quotidiana di difendere la libertà e l’indipendenza, perché voglio un’Italia in cui sono la regola e non l’eccezione. Non mi mancherà, non potrà mancarmi, il male di questi ultimi tempi, e sarò sempre sereno perché sento di avere fatto la cosa giusta, il giorno che mi sono dimesso. Non mi mancherà – mai – l’orgoglio per tutto quanto ho fatto qui dentro, perché quello me lo porterò sempre dietro, e perfino negli occhi.
Non mi mancherà la forza di dire quello che penso, di discutere con chi lo vorrà, di ascoltare e confrontarmi, di cercare storie da raccontare e talenti da coltivare, questa non mi mancherà: perché continuerò a prendermela. Da adesso, ufficialmente, non sono più direttore, a tutti quanti ho incontrati auguro il meglio e li ringrazio. E saluto anche tutti quelli che hanno avuto voglia di avermi come nemico: perché mi hanno aiutato a comprendere meglio cosa sia la libertà.