Ieri, attraverso un tweet, Bill Emmott ha annunciato un terremoto. Pur non essendo originario della Garfagnana, l’ex direttore dell’Economist ha reagito – del tutto comprensibilmente, almeno all’apparenza – alla decisione del Maxxi di sospendere la proiezione del suo film Girlfriend in a coma (diretto da Annalisa Piras). Subito si è scatenato il panico. La maggior parte dei giornalisti italiani non è scesa in strada con coperte e viveri per passare una notte in balia del freddo pungente dell’inverno, ma ha iniziato una crociata mediatica contro la “censura”. E, dietro di loro, un gran numero di cittadini ha espresso il proprio disappunto. Io credo che ciò che è successo, oltre che esagerato, mostri molti limiti del giornalismo (non soltanto) italiano. Limiti che diventano ancora più evidente nel mondo contemporaneo, che è ormai affetto da ‘consumismo’ comunicativo sfrenato. Partendo dai fatti della vicenda Emmott, quest’analisi vuole essere un piccolo contributo a un dibattito più ampio sulla qualità dell’informazione.
Contro ogni distopia o censura totalitaria
Mettiamo subito in chiaro una cosa. Non sono a favore della censura. Già immagino qualche ‘indignato’ pronto a rispondermi a male parole, apostrofandomi nella peggiore delle ipotesi come un rigurgito del fascismo. Questo è solo un semplice esercizio di giudizio, libero da qualsiasi furore ideologico.
Non siamo di fronte alla distopia magistralmente raccontata da Ray Bradbury in Fahrenheit 451. Né, tanto meno, ci troviamo nelle ben più spaventose (perché reali) forme di controllo dei totalitarismi novecenteschi. Piuttosto, il clamore determinato dalla decisione di Giovanna Melandri è segno che le notizie – soprattutto, ripeto ancora una volta, di fronte a un mondo dell’informazione che viaggia con una velocità impressionante – andrebbero verificate, proprio per non affermare una censura (molto più pericolosa) della realtà. A differenza di quanto sostiene il decostruttivismo (o il costruttivismo) moderno, la realtà è un fatto da cui il soggetto deve partire per conoscere, non già un’immagine che egli si crea. Inventare la realtà, d’altra parte, era proprio l’obiettivo che nazismo e comunismo hanno cercato di perseguire – fortunatamente, senza alcun successo – con l’edificazione dell’«uomo nuovo».
Il capro espiatorio
Innanzitutto, è importante osservare come proprio la velocità dell’informazione tenda involontariamente a generare la figura – così magistralmente indagata in una celebre opera da René Girard – del capro espiatorio. La colpa della sospensione della proiezione di Girlfriend in a coma è stata immediatamente addossata al Ministro per i Beni e le Attività culturali, Lorenzo Ornaghi. Come hanno dimostrato le precisazioni sia del MiBAC sia del Maxxi, ciò non era assolutamente vero. Le precisazioni sono subito comparse sulla versione online dei maggiori quotidiani italiani. Purtroppo, non su Linkiesta, dove compare un corsivo, destituito di alcun fondamento (forse, sarebbe il caso di toglierlo o rettificarlo). Certamente, è più facile colpirne uno per educarne cento. Ma, qualche interrogativo questa modalità di pensiero dovrebbe pur produrlo.
L’argomento secondo il quale Ornaghi avrebbe responsabilità oggettive nella decisione autonoma della Melandri, perché è stato lui a nominarla, è rischioso e moralmente problematico. La responsabilità è personale. Pertanto, ricercare le (eventuali) colpe di una persona in un’altra è quantomeno ridicolo. Se ciò non fosse vero, dovremmo forse dare la colpa ai cittadini elettori per i reati commessi dai loro rappresentanti? Nessuno – se non, conta ricordarlo, un folle – potrebbe accusare i rappresentati di fronte agli scandali che continuano a coinvolgere la classe politica – di qualsiasi schieramento – del nostro Paese.
La politica esce dalla porta, ma rientra dalla finestra
La decisione di Giovanna Melandri può essere più o meno condivisa. Tuttavia, anche se per certi versi inopportuna, non è irragionevole. Il Maxxi è una fondazione privata, il cui principale finanziatore rimane lo Stato. E ciò – concedetemi una breve parentesi – dovrebbe convincere anche i più scettici che la partecipazione del privato al finanziamento della cultura – come, d’altronde, succede in tutto l’Occidente – potrebbe favorirne l’indipendenza e la terzietà. Non il contrario, come gran parte degli oppositori – affetti dall’ormai vetusta dicotomia Stato/mercato – vorrebbe dimostrare. Se a finanziare il Maxxi fossero dei privati, non ci sarebbe alcun problema alla proiezione del film prima delle elezioni. Così la proposta di Mario Calabresi di ospitare alla sede de La Stampa Girlfriend in a coma è più che ragionevole.
Il mantenere fuori la politica da un’istituzione culturale non è una decisione oscurantista, soprattutto in un Paese dove la politica – o, per meglio dire, i partiti – tendono ormai da decenni a cannibalizzare ogni cosa. Quasi ogni cittadino si lamenta di questa tendenza tutti i giorni, ma, quando si vuole evitarla, non possiamo sconfessare quanto detto fino a un momento prima. La morale a senso alternato non è sintomo di buona salute di una società, proprio perché riflette quegli errati comportamenti dei partiti che si vorrebbe eliminare.
Bill Emmott non è candidato. Su questo non c’è alcun dubbio (l’ironia a buon mercato non serve). Però, nessuno può nascondere il fatto che il film non delinei chiaramente un orientamento ben preciso. Al (quasi) scontato atto di accusa contro Berlusconi, si unisce una non velata critica al Pd. Com’è ovvio, a uscire rafforzato – forse, addirittura ‘investito’ – è soltanto Monti. Ed è proprio qui che si pone la principale contraddizione della decisione della Melandri. La volontà di mantenere giustamente al di sopra delle parti un’istituzione pubblica (seppur privata, finanziata ancora quasi esclusivamente dallo Stato) può infatti celare paradossalmente un interesse politico: vale a dire, il non disturbare una campagna elettorale – come quella del Pd – già in salita. A pensar male si fa peccato, ma qualche volta ci si azzecca. Il fatto che la Melandri sia un ex parlamentare del Pd non fa che aumentare i dubbi. Ma ciò è un problema che riguarda soltanto l’attuale Presidente del Maxxi. Se non ci fosse stata lei, potrebbero però obiettare maliziosamente alcuni, il problema non ci sarebbe stato. In realtà, è vero il contrario. Anche se ci fosse stato qualcun altro, il problema dell’indipendenza dell’istituzione dalla politica si sarebbe presentato ugualmente. Forse, ci sarebbe soltanto meno materiale per alimentare qualche più che legittimo dubbio.
Il significato delle parole
Posticipare non significa censurare. Questo dovrebbe essere chiaro a tutti. Il problema è strettamente collegato all’opportunità politica – con tutte le criticità evidenziate al punto precedente – dell’evento. Per molti versi, sarebbe interessante ipotizzare uno scenario alquanto provocatorio. Anzi, volutamente provocatorio. Come avrebbe reagito chi ha protestato se il film fosse stato scritto e diretto da Alessandro Sallusti?
Provincialismo, ma di chi?
Infine, è importante riflettere sulla reazione che il rinviato lancio della pellicola ha generato. La principale critica che sembra emergere è quella che vuole contrastare il solito (forse, addirittura caricaturale) provincialismo italiano. Nel nostro Paese, succedono cose che altrove non possono – anzi, devono – accadere. Per molti versi, questo è vero. Ma, cerchiamo di non esagerare. Il passatempo preferito dagli italiani è l’autoproclamarsi ‘secolari’ Geremia, che profetizzano le sventure del proprio popolo. Non credo che l’obiettivo del film di Emmott sia questo. Casomai, è proprio il contrario.
Appunto, il film di Emmott. Forse, il nostro provincialismo risiede anche e soprattutto nella partigianeria mal celata di alcuni giornalisti. L’autorevole – penso che sia difficile affermare il contrario – rivista Foreign Affairs ha dedicato una recensione non proprio positiva al libro dell’ex direttore dell’Economist. La penna di Andrew Moravcsik, infatti, definisce Good Italy, Bad Italy (da cui deriva il film) un libro «non molto ricco di sfumature, ben informato, o originale». Ci sono state altre analisi migliori negli ultimi anni, che vanno oltre alcuni luoghi comuni sulla nostra Penisola. Insomma, Moravcsik giudica il libro di Emmot un po’ grossolano. Forse, il film è un capolavoro. Molto probabilmente, invece, è assai simile al libro. Un po’ poco per parlare di censura. Persino troppo per la pubblicità ricevuta dal film. La mancata proiezione del 13 febbraio potrebbe così – più o meno consapevolmente – rivelarsi il miglior lancio promozionale per la pellicola. Un’operazione di marketing perfetta.
Omen Nomen
Quante sfumature per una vicenda all’apparenza semplice. Con questa riflessione, spero non solo di contribuire al superamento di alcuni luoghi comuni, ma anche e soprattutto di stuzzicare una riflessione sul presente e il futuro del giornalismo. Un giornalismo – ma spero proprio di sbagliarmi – che, come la fidanzata, è anch’esso in coma.