“Una ragazza non dovrebbe aspettarsi speciali privilegi per il suo sesso, ma neppure dovrebbe adattarsi al pregiudizio e alla discriminazione. Deve imparare a competere… non in quanto donna, ma in quanto essere umano”.
Queste le parole di Betty Naomi Friedan, nel suo “Mistica e femminilità”. Correva l’anno 1963 e credo che mai definizione fu più azzeccata, ed al contempo così attuale ancora oggi.
Io, come molti miei coetanei, sono assolutamente convinto di essere molto più femminista (secondo la definizione che ne da la Friedan) di moltissime donne. Penso che la strada per arrivare ad un mondo più giusto sia solo quella della parità. Fra donne e uomini, fra giovani ed anziani e di genere.
Parità che vuol dire eguaglianza, sia nei diritti che nei doveri. Sia fra le mura domestiche che negli uffici o nella pubblica amministrazione.
Ma i diritti si conquistano con dure battaglie politiche, di piazza e, soprattutto, culturali. Non a caso le prime femministre della nostra storia, le varie Matilde Calandrini, Emilia Peruzzi, Alessandrina Ravizza, Laura Mantegazza, Clara Maffei, Anna Maria Mozzoni, Sibilla Aleramo, Anna Kuliscioff, misero come primo punto nell’agenda della “lotta” l’istruzione.
Non sarebbe mai stato possibile infatti uscire dalle mura domestiche, trovare un lavoro esterno, accedere ai diritti politici e di cittadinanza, se le donne non avessero avuto accesso alla scuola pubblica.
Ed oggi, come allora, è la cultura la chiave per giungere alla parità. Come anche il sacrificio e la lotta, valori questi che si ottengono quando si giunge in vetta scalando la montagna, non certo quando ti ci portano in elicottero.
Le quote rosa credo siano quanto di più anti femminista possa esistere. Sono la morte dell’idea stessavalla base della parità, che prevede proprio le “pari” basi di partenza.
Sono un’imposizione che mortifica le donne che lottano gni giorno per conquistarsi il loro posto nel mondo, in politica come in azienda. Sono l’affermazione che il “posto” alle donne possa arrivare solo per concessione degli uomini o per legge.
Invece io credo che sia necessario lavorare insieme, costruire tandem fra donne e uomini, convincendo con la forza delle idee che la parità non è solo giusta ma anche utile.
Quello che invece bisognerebbe incrementare, questo si anche per legge, è la lotta alla violenza di genere ed al femminicidio.
Ad oggi sono 120 le donne uccise in Italia nel 2012, ma non esistendo nessun organo di controllo ufficiale il dato è soggetto ad enormi oscillazioni, purtroppo verso l’alto.
Necessario che lo Stato realizzi almeno un Osservatorio per analizzare il drammatico fenomeno, ed al contempo che diventi più semplice per una donna denunziare un potenziale carnefice prima che sia troppo tardi.
Ad oggi la normativa non tutela a sufficienza le donne, difatti la maggior parte di quelle che poi vengono uccise (come di quelle che si “salvano” riportando “solo” lesioni) avevano denucniato il loro killer. Purtroppo però senza che questo le salvasse, perche le forze dell’ordine hanno le mani legate da norme sbagliate.
La battaglia oggi, come ogni altro giorno, dovrebbe essere per garantire sicurezza, salute, opportunità e vita. Non certo per ottenere nel modo sbagliato poltrone.
Per cui oggi facciamo che sia un 8 marzo per dire no alla violenza di genere, no al femminicidio ma anche no alle quote rosa.