Giovedì scorso, presso la Sala Collina della sede de “il Sole 24 Ore”, quotidiano di Confindustria, si è tenuto il convegno sul tema: «Banca & Impresa come creare una nuova civiltà del credito».
Tema piuttosto ostico ma visti i tempi, necessario per dipanare l’annoso problema del rapporto tra sistema del credito e il sistema produttivo.
Prendendo spunto dal titolo si potrebbe affermare che negli ultimi 15 anni il sistema del credito abbia perso l’antica funzione di cerniera tra privati e imprese presentandosi al mercato come vera e propria impresa erogatrice di credito in pratica come prima concorrente delle imprese stesse.
Perdendo di vista per un attimo il rapporto tra la banca e le famiglie, in buona sostanza una qualsiasi impresa, piccola, media o grande che sia, anzichè trovarsi di fronte un vero alleato che ne accompagna la crescita, si è trovata a dover fare i conti con un concorrente piuttosto scomodo tutto teso a “creare valore” per gli azionisti con i risultato di aver «distrutto ricchezza» e per tutti.
Seguendo gli interventi più significativi del seminario, da un grafico presentato, sembrerebbe prevalere la tesi secondo la quale il sistema bancario in questi ultimi anni avrebbe svolto pienamente la sua funzione, anzi avrebbe concesso troppo credito alle imprese così da trovarsi poi in difficoltà con l’arrivo della crisi.
Se questo dato è vero è però altrettanto vero che le Banche non hanno certo tirato il freno nel ricorrere alla leva finanziaria «gonfiando» letteralmente il mercato e consentendo di accedervi, pur di macinare utili, a tutti coloro che ne volessero usufruire, utilizzando tutti quegli strumenti finanziari, derivati e cartolarizzazioni, divenuti successivamente autentici boomerang per le aziende e per le stesse banche.
Ora che la frittata è ormai fatta e quasi consumata, e i banchieri hanno certamente sottovalutato la recessione nella sua gravità, preferendo i lauti bonus percepiti in questi anni, anzichè applicare una avveduta gestione del credito, ci si appella ai richiami degli organismi internazionali quali FMI e OCSE sulla salvaguardia del sistema bancario e la garanzia della sua stabilità, costi quello che costi…con le gravi ripercussioni che stiamo vivendo sulla nostra pelle giorno dopo giorno.
Mentre si può sostenere che vi è un paradosso nel sistema finanziario italiano nel ricorso al mercato del credito, laddove presso la Borsa Valori di MIlano, sono quotati prestiti obbligazionari di sole 30 società rispetto al mondo delle piccole e medie imprese considerate «non bancarie», si può affermare , di contro e senza essere smentiti, che si è preferito seguire la strada più rapida, per le imprese, e conveniente, per le banche, di utilizzare la leva in misura smodata finchè è stato possibile e aver “privatizzato gli utili” creando per qualche anno valore, e ora trovarsi nella necessità (convenienza?) di “socializzare le perdite”.
Al di là delle solite affermazioni di circostanza, va detto e scritto che il sistema bancario italiano versa in condizioni problematiche con la qualità del credito rispetto al patrimonio netto degli istituti di credito che si è deteriorata in misura esponenziale nel volgere di questi ultimi anni.
Da un calcolo effettuato, se le posizioni incagliate e deteriorate passano alla condizione di vere e proprie “sofferenze”, occorrono 22 miliardi di euro per ricapitalizzare le Banche italiane.
Si può dunque affermare che se esistono responsabili, certo non possono che essere i banchieri di “nuova generazione”, miopi (?) nel non aver visto la curva della crisi che si stava delieando e incosapevoli (?) degli effetti “devastanti” che questa avrebbe provocato.
Per concludere si potrebbe tranquillamente affermare che il vero assente all’interessante convegno è sicuramente lo Stato. L’intervento della mano pubblica, arrivati a questo punto, risolverebbe gran parte del problema e la presenza della Cassa Depositi e Prestiti, rappresentata in questa sede dal riconfermato amministratore delegato Giovanni Gorno Tempini ne è stata una rilevante e autorevole testimonianza.