Fa discutere la questione Banca Popolare di MIlano e i suoi assetti societari futuri.
La proposta di Bonomi, nonostante i ripetuti inviti (pressioni?) al cambiamento, non ha convinto e l’ultima assemblea ha risposto garbatamente con un “no, grazie”.
Questo dovrebbe significare che al di fuori dell’azionista di riferimento in possesso dell’ 8,2% del capitale, sostanzialmente il vero nocciolo duro, starebbe da tutt’altra parte.
Un pò di storia per ricordare che nella metà degli anni ottanta avvenne un’operazione ostile alla nota e importante famiglia milanese dalla quale discende il finanziere Bonomi, la famosa scalata alla Bi-Invest da parte di Mario Schimberni allora al timone di Montedison della quale Bi-Invest era azionista indiretta e scomoda.
Da allora, da quell’episodio, sono trascorsi largo circa 25 lunghi anni, tanta acqua è passata sotto i ponti e mentre i molti attori della finanza italiana sono scomparsi per varie ragioni, ecco che, prima il ritorno nel 2006 con il fondo di private equity Investindustrial, poi l’affermazione ai massimi livelli del rampollo di una famiglia che con la finanza ha sempre avuto una certa confidenza, con l’operazione BPM sembra quasi voler assaporare una rivincita su quella contrariata vicenda che fece tanto discutere.
E fin qui, si direbbe, tutto normale , anzi più che legittimo osservare che a distanza di tanti anni ci sia una continuità generazionale, di tradizione famigliare, di “milanesità”.
Purtroppo però capita che, vuoi per gli studi all’estero, vuoi per l’aereo preso come un taxi in giro per il mondo, vuoi per i recenti investimenti nella casa automibilistica Aston Martin, vuoi per la bella operazione su una impresa industriale come la Ducati, conclusasi con una lauta plusvalenza, il modo di pensare dell’uomo Andrea Bonomi sia un pò cambiato, fino a considerare l’operazione BPM ormai una questione personale, dopo aver avuto, va ricordato, l’endorsement niente popò di meno che dal Management di Mediobanca, messosi di traverso al tentativo di intervento del fondo Sator di Matteo Arpe, il quale, verso la popolare milanese, nutriva qualche appettito anche di posizionamento personale ai vertici dell’Istituto.
Un capitolo a parte meriterebbe proprio la questione tra Arpe e i suoi ex colleghi di Mediobanca, basato solo su questioni personali, invidie, ossessioni e avidità di potere, non certo sugli interessi nazionali o di sistema a tutto danno, tra l’altro, del sistema finanziario stesso, ma ci torneremo sopra…
Tornando al tema, se è vero come è vero che, nel corso di questi ultimi anni, il mondo è cambiato, è altrettanto vero che per quanto riguarda quello bancario e finanziario è decisamente peggiorato e i risultati sono sotto i nostri occhi.
Ora, si può anche credere alle capacità del finanziere Bonomi, il cui primo scopo, non va dimenticato, è e resta comunque quello di ottenere il ritorno adeguato del capitale investito, ma di per sè è già un fatto anomalo che un fondo di private equity , come è Investindustrial, sia socio di riferimento di un banca popolare.
E quì è necessario aprire anche una parentesi su quello che è diventato un annoso problema che ci accompagna da ormai vent’anni, da quando cioè entrò in vigore la legge Amato del 1993, una legge che ha consentito, alle banche, lo consente tutt’ora, di svolgere contestualmente la funzione di banca commerciale e quella di banca d’affari (sic!!), uniformandosi così al sistema bancario anglo-sassone (doppio sic!!) un modello, ahinoi, che ha prodotto i danni che ha prodotto…e al quale sembra ispirarsi proprio il patron di Investindustrial.
Su quale sia il ruolo svolto da una banca si è scritto ormai tutto quello che c’era da scrivere…. solo qualche breve cenno….
Possiamo paragonare il ruolo svolto da una banca nel sistema produttivo di un Paese al pari di una qualunque impresa? È possibile pensare che il principale concorrente di una qualsiasi impresa industriale sia la sua banca di riferimento che ha come obbiettivo quello di produrre, oltremodo, profitti, magari fornendo alle stesse imprese strumenti strutturati o derivati di difficile comprensione? È possibile pensare che al contrario la banca debba svolgere anche un ruolo “sociale” di “cerniera” nel sistema produttivo e non solo finalizzato alla “creazione di valore” per gli azionisti divenuto col tempo vero e proprio “disvalore”?
Si potrebbe andare avanti… la situazione interna alla BPM è certamente complessa e a rischio di commissariamento a causa di una discutibile e allegra gestione, ma presentarsi come chi ha la formula magica in tasca, mettendo in discussione prima, per scardinare poi , un sistema che ha funzionato per 150 anni, lascia un pò perplessi.
Perchè dunque voler cambiare a tutti i costi?
È possibile che la cattiva gestione in BPM sia dipesa dalla scadente qualità delle persone non dal modello di gestione oggi ritenuto obsoleto? È possibile che Bonomi approfitti di una situazione compromessa e della pressione che gli Organi di controllo e la Magistratura esercitano sull’Istituto per tutt’altre ragioni al solo scopo di ottenere ciò che vuole?
Il voto via internet in assemblea, la trasformazione da società cooperativa in Spa, dovrebbero rappresentare una prima ventata di modernità e consentirebbero una maggiore autonomia del management proteso al raggiungimento di obbiettivi di gestione più efficienti.
Tutto ciò comporterebbe, tra l’altro già in atto, il serio pericolo che una parte dei dipendenti si trovino, seppur ben liquidati, in mezzo a una strada con grandi difficoltà di potersi ricollocare nell’attuale mercato del lavoro.
È possibile pensare che un certo modo di “fare banca” , secondo uno schema caro alla cultura anglo-sassone (sic!!), sia già stato superato dalla crisi e sia necessario ripensarlo con un approccio più conservativo e più consono ai tempi che stiamo attraversando?
È possibile pensare che una banca riesca a produrre utili senza dover ricorrere a stravolgimenti statutari che nulla hanno a che vedere con il ruolo che è chiamata a svolgere nel sistema produttivo di un Paese?
Ormai Bonomi è dentro il meccanismo, l’invito di Mediobanca unito alla tradizione di famiglia, lo hanno convinto a svolgere un ruolo pro-attivo e centrale nella partita per la conquista della Banca Popolare di Milano.
Come in un prendere o lasciare, ora minaccia di far saltare il banco, l’annullamento dell’aumento di capitale, compromettendo così il rilancio dell’Istituto, se Sindacati e Associazione degli Amici della Popolare “mascherati” tra pensionati e irriducibili dipendenti, non scenderanno a miti consigli…ce la farà?… sarà dura…piaccia o non piaccia, siamo a MIlano, non a New York…