Pochi giorni fa lo storico francese Dominique Venner si è tolto la vita con un gesto eclatante sparandosi un colpo di pistola nell’affollata Basilica di Notre-Dame a Parigi. Apparentemente per dare un forte segnale di protesta contro la legge, voluta dal presidente francese Hollande, che legalizza il matrimonio tra coppie omosessuali.Sul suo blog aveva scritto: “serviranno gesti nuovi, spettacolari e simbolici, per risvegliare chi dorme, scuotere le coscienze anestetizzate e risvegliare la memoria delle nostre origini. Entriamo in un tempo in cui le parole devono essere rese autentiche dalle azioni”. Etichettare il suo suicidio come il gesto di un folle o spiegarlo esclusivamente come una protesta ai matrimoni gay sarebbe non solo sbagliato ma riduttivo. L’estrema scelta di Venner va considerata in una prospettiva più ampia: cosa spinge uno storico, un uomo di cultura a togliersi la vita? Si tratta di una semplice protesta oppure l’insopportabile consapevolezza di vivere in un periodo storico sempre più buio dove valori, identità e culture millenarie si sgretolano giorno dopo giorno stritolate da relativismo, nichilismo e morte della cultura? Non interpreto il suicidio di Venner in chiave politica bensì culturale. Un monito per aiutarci a riflettere su quale strada stia intraprendendo la civiltà occidentale. Schiavi del progresso tendiamo a dimenticare le tradizioni culturali e religiose su cui si fonda la nostra civiltà. Mario Vargas Llosa in un libro fondamentale recentemente pubblicato da Einaudi, “La civiltà dello spettacolo” (il titolo è un evidente rifacimento a un libro di Guy Deborg “La società dello spettacolo”), denuncia la deriva culturale del nostro tempo. Benché nella tradizione religiosa cattolica il suicidio non sia ammesso (basti ricordare la selva dei suicidi nel XIII canto dell’Inferno di Dante) vi sono vari intellettuali che hanno preceduto Venner. I due più noti sono sicuramente il giapponese Mishima Yukio e il francese Drieu La Rochelle Mishima si tolse la vita il 25 novembre 1970 con un suicidio rituale (seppuku) lasciando un biglietto d’addio commovente “la vita umana è breve, ma io vorrei vivere per sempre”. Il suo suicidio, come quello di Venner, fu spettacolare. Si tolse la vita in diretta televisiva mentre occupava, con un gruppo di fedelissimi, il ministero della difesa. Tra i motivi che lo spinsero a compiere l’estremo gesto, vi era il trattato di pace firmato dal Giappone con gli Usa che impediva al paese nipponico di avere un proprio esercito se non a scopo difensivo. Il suicidio di Venner non può essere un gesto fine a se stesso che catalizza l’attenzione dell’opinione pubblica per poche ore, deve essere un momento di riflessione profonda sul futuro della civiltà europea e occidentale, un’occasione per chiederci se davvero, in nome di un presunto progresso, valga la pena smantellare secoli di storia e tradizioni. Togliersi la vita per un ideale, per un qualcosa in cui si crede fermamente, è un gesto che non condivido ma che merita rispetto e comprensione. Nel mare magnum di internet, in alcuni forum e social network, ho letto feroci e sconcertanti parole contro Venner. Ulteriore conferma del decadimento della nostra società in cui non esiste rispetto nemmeno davanti alla morte dove, nonostante le tragedie che hanno attraversato il novecento, continuano a esistere morti di serie a e morti di serie b. Il capolavoro di Ridley Scott, Blade Runner, termina con un monologo in cui sono pronunciate poche significative parole: “E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo come lacrime nella pioggia”. Non dimentichiamo mai chi siamo e da dove veniamo, la memoria e il ricordo del nostro passato e delle nostre origini sono patrimoni da conservare e difendere con tutti noi stessi.
Francesco Giubilei
@francescogiub