La performance, grande protagonista di questa 55° Esposizione Internazionale d’Arte a Venezia: genere che, grazie ad artisti come Gina Pane, Marina Abramovic, Franco B, Hermann Nitsch, Orlan e altre/i (spesso i performer sono artiste donna), ora sta acquistando una sua completa autonomia ed è sempre più scelto come efficace tecnica espressiva. Partiamo dal Leone d’oro come il miglior artista nella mostra “Il Palazzo Enciclopedico” andato a Tino Sehgal (Gran Bretagna) e alla sua performance dal “titolo non ancora assegnato” (come recita il catalogo) nel Padiglione Centrale ai Giardini, in cui a turno un gruppo di due attori eseguono un lavoro performativo costituito dall’entrare in relazione continua uno con l’altro. Un bambino e un adulto, ad esempio, siedono nel Padiglione Centrale ai Giardini, uno canta e l’altro, ascoltando, si muove a ritmo della voce che sente, secondo le percezioni e le vibrazioni che avverte.Il senso di questo lavoro è un chiaro invito all’ascolto e la capacità d’immedesimarsi nel’altro, di recepire le sue energie e di comportarsi in modo simbiotco ad esse. Nel Padiglione Italia all’Arsenale esiste un vero e proprio calendario sulle arti performative: dalla performance “Voglia Matta” di Marcello Maloberti, a quella di Francesca Grilli, “Fe2, Ossido ferrico”, 2013, fino a Fabio Mauri con la riproposizione della performance del 1973 “Ideologia e natura” e quella di Sislej Xhafa “Parallel Paradox” (2013): per Maloberti un monolite di marmo di Carrarara è posto in centro ad una grande sala all’Arsenale, e alla sua sommità quattro persone sollevano e abbassano altrettanti teli, creando un’architettura provvisoria (durante i giorni dell’inaugurazione attorno al masso centrale una cinquantina di ragazzi e ragazze erano in piedi vicino ad un tavolino di legno che sorreggeva particolari sculture). Francesca Grilli ha previsto invece una performer che interagisce con la sua installazione, in cui una goccia d’acqua scorre su una lastra di metallo, a poco a poco trasformandolo. La voce simboleggia la reiterazione continua che innesta una trasformazione.Fabio Mauri ripropone “Ideologia e natura”, la sua performance in cui una ragazza vestita con la divisa fascista da Piccola Italiana si spoglia e riveste ripetutamente in ordine sempre meno logico. Sislej Khafa, in “Parallel Paradox” pone un barbiere tra i rami di un albero, sempre all’Arsenale, e riceve i suoi clienti solo in cima ad esso: bisogna raggiungerlo con una scala a pioli. Se il negozio del barbiere è, comunemente, il luogo per eccellenza in cui gli uomini si scambiano opinioni, la performance lo decontestualizza, quasi come per amplificare il valore simbolico e sociale che lo stesso barbiere riveste nel suo compito.
Azioni performative in una grande esposizione italiana come la Biennale. Un Leone d’oro ad un artista creatore di una performance. Si sta forse allentando la corda stretta che in Italia ha reso più lungo che in altri paesi, come gli Stati Uniti, il tempo per concepire un museo non solo come luogo di conservazione, ma anche di produzione artistica e quindi in grado di accogliere un genere artistico poco incanalabile e “fissabile” come quello performativo?
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