La notizia della nascita del Club delle Rinnovabili, sotto l’egida dell’International Renewable Energy Agency, è importante per capire meglio l’Italia. Sì, perché l’Italia non c’è. Ma chi se ne importa, potrebbe dire il cittadino comune stufo della pletora di acronimi (UE, FMI, OCSE, WEF, ecc.) che quotidianamente ci sfornano un bel rapporto, ci impartiscono lezioni di economia e, infine, giù botte, nel senso che ci impongono aggiustamenti delle politiche fiscali e di spesa pubblica.
E invece sarebbe un atteggiamento sbagliato. Perché è proprio così che l’Italia perde colpi, credibilità ed influenza nel mondo. I motivi per stare dentro al Club delle Rinnovabili sono tanti ma per brevità ne elenco alcuni che possono essere capiti al volo: 1) Siamo uno dei paesi guida della rivoluzione dell’energia rinnovabile e nel 2012 siamo stati il primo mercato per il fotovoltaico, con un aumento della produzione di oltre il 70% sul 2011; 2) Malgrado ciò continuiamo a spendere circa 60 miliardi di euro l’anno per l’approvvigionamento di combustibili fossili, per la gioia di Putin e di tanti altri salvo poi lamentarci per le bollette;
3) Le rinnovabili nel 2015 saranno la seconda fonte di elettricità al mondo dopo il carbone;
4) Per il 2050 a fronte di un aumento della popolazione mondiale del 30% il bisogno di energia crescerà però dell’80%; 5) Nel 2012 gli investimenti nelle rinnovabili sono stati oltre 240 miliardi di dollari, e nei prossimi anni questa cifra è destinata a salire vertiginosamente, al punto che l’Agenzia Internazionale per l’Energia parla di migliaia di miliardi di investimenti nel prossimi 10 anni. Questi pochi dati per capire come sia cruciale investire in una filiera tecnologica che guiderà nel prossimo futuro lo sviluppo dell’economia (e il miglioramento della qualità della vita), e quindi come sia importante far parte di tutte quelle istituzioni internazionali che influenzeranno il dibattito e le decisioni sulle politiche energetiche.