Stavolta niente cani, mi corre l’obbligo di parlare di questi signori qui sotto, dopo aver scoperto che sono già passati vent’anni dalla pubblicazione di In Utero, ultimo album in studio dei Nirvana. Intanto, visto che già so che qualcuno storcerà il naso per il mio post, mi piace precisare che ho amato i Nirvana di un amore enorme, indipendentemente dal fatto che in quel momento fosse oggettivamente “figo” ascoltare e venerare il gruppo di Seattle.
Prima di proseguire, è bene precisare due cose: la prima, che quando Kurt Cobain è morto avevo quasi undici anni e che In Utero è stato il primo album dei Nirvana a entrare in casa mia (grazie papà…). Non ho quindi beneficiato dell’onda lunga e dirompente di Nevermind perché ero davvero troppo piccolo. Però In Utero, forse perché più intimista, forse perché più arrabbiato, forse perché sì, è senz’altro il loro album che ancora adesso apprezzo di più. Per dirla tutta, trovo che Nevermind sia un po’ una cagata, ma questo è un discorso che rischia di farmi linciare, e quindi lo dirò sottovoce.
Il mio amore per i Nirvana si è necessariamente sviluppato DOPO la morte di Cobain ed è andato avanti fino al liceo, quando poi ho iniziato ad avvicinarmi ad altre cose che ancora adesso mi porto dietro. Di più: inconsapevole di quello che stavo facendo, i Nirvana, come è successo per milioni di altre persone (ma questo l’ho scoperto molto dopo), hanno sostituito nel mio cuore i Guns N’ Roses, fino ad allora miei idoli incontrastati (e ancora grazie, papà…).
Ora, a vent’anni di distanza, è davvero difficile che io mi avvicini a un disco dei Nirvana nonostante li abbia collezionati tutti, compresi bootleg indecenti e Greatest Hits di dubbio gusto. Perché trovo che siano rimasti ancorati a quella roba là, a quegli anni Novanta che io ho sfiorato appena (sono dell’83) e che secondo me hanno rappresentato una bellissima illusione prima del Nuovo Millennio e di tutte le schifezze che si è portato dietro. I Nirvana li trovo incredibilmente datati. L’ho detto. Mi sono tolto un peso.
Quando in radio, raramente a dirla tutta, o a qualche serata per locali, mettono Smells Like Teen Spirits a me viene il nervoso. Lo trovo un pezzo davvero brutto, e pensare che l’intera epoca del grunge sia rappresentata da un pezzo così mi pare un vero peccato. E’ come se gli anni ’80 (per carità, è un esempio) fossero sintetizzati non dalla disputa tra Duran Duran e Spandau Ballet, ma da Adam and The Ants. Insomma, diciamocela tutta: Nevermind è poca cosa. Ha intercettato i bisogni di una generazione che si era rotta le scatole di lustrini e paillettes e voleva qualcosa di più arrabbiato e “tosto”. Ma allora perché non Bleach, album d’esordio ben più corposo?
Il problema con i Nirvana è che sono diventati un’icona tale che ammettere francamente che si avverte, eccome, il peso degli anni quando si ascoltano le loro canzoni è considerato apostasia. Come criticare Jim Morrison. Dimentichi del fatto che per entrambi i decenni c’è stato molto, ma molto di meglio. Kurt Cobain è stato un grande, su questo non ci piove. Ma la religione che si è creata attorno a lui mi lascia, ora che sono un po’ più grandicello, parecchio perplesso.
Due ultime cose. La prima: quanti di voi ricordano l’apparizione dei Nirvana a Tunnel (o Avanzi, non ricordo) in cui suonarono in modo imbarazzante Serve The Servants? Io ce l’ho ancora stampata in mente. La seconda: quanti di voi ricordano il giorno in cui è morto Kurt Cobain? Che cosa stavate facendo? Io l’ho appreso dal giornale, visto che internet ancora non c’era: “Suicida il leader dei Nirvana”, titolava Repubblica nell’aprile del 1994. E’ uno degli eventi che hanno segnato la mia pubertà-adolescenza. Ecco oggi, a distanza di vent’anni, mi sento di aver pagato il mio tributo alla religione di Cobain e posso affermare, pronto a prendermi tutti gli insulti del caso, che i Nirvana sono delle icone degli anni Novanta. Non so se possano essere considerati tali anche per quanto riguarda la storia della musica.