L'ItabolarioItalianità (ovvero di Telecom e di altro)

Non sono un economista né un esperto di telecomunicazioni. Osservo con preoccupazione e incertezza a quanto sta accadendo in Telecom Italia. La mia prima reazione sarebbe difensiva: preferirei che ...

Non sono un economista né un esperto di telecomunicazioni. Osservo con preoccupazione e incertezza a quanto sta accadendo in Telecom Italia. La mia prima reazione sarebbe difensiva: preferirei che la Telecom rimanesse una proprietà italiana. Non tanto per ragioni strategiche o di sicurezza della rete – i governi hanno sempre buoni strumenti per difendersi nei confronti dei privati se hanno le idee chiare! – quanto piuttosto perché la vendita della più grande compagnia telefonica, l’unica ancora in mani italiane, mi pare un sintomo inequivocabile del declino.

La seconda reazione è più meditata. Mi dico: la proprietà italiana è davvero una garanzia per il paese e per noi cittadini? Dobbiamo ripercorrere la lunga catena di scandali, saccheggi, espropri dall’interno, che gli imprenditori italiani hanno compiuto a spese delle aziende pubbliche (o ex-pubbliche) e dei cittadini? Non potrebbe essere meglio un imprenditore capace straniero, competente nel suo settore e interessato ad un profitto giusto e collegato a una buona innovazione tecnologica?

La risposta è sì. Ma purtroppo non è questo il caso di Telecom, per due ragioni fondamentali. Senza tornare indietro e ragionare su tutti gli errori fatti a partire dalla privatizzazione: ormai quella è, purtroppo, acqua passata.

Prima ragione. Gli spagnoli di Telefonica sono sì competenti in questo settore, ma non sono affatto solidi, almeno a quanto si legge. Hanno un debito maggiore di quello di Telecom e, a causa delle normative Antitrust, sarebbero immediatamente costretti a vendere le attività di Telecom (e Tim) in Sudamerica, le uniche che funzionano. Quindi la prima cosa che dovrebbero fare è spolpare la parte sana dell’azienda che comprano.

Seconda ragione. Un imprenditore straniero coniuga l’interesse proprio con le esigenze di tutta la comunità (leggi: noi!) se c’è qualcuno che lo obbliga a rispettare i suoi impegni. Questa è esattamente la funzione dello Stato. Lo stesso Stato che, in un mondo ideale, non dovrebbe forse distinguere tra pubblico e privato nella proprietà, per esempio, dell’acqua, ma occuparsi in maniera severa dei prezzi, della qualità e dei servizi per il consumatore. Ma questo Stato, in Italia, al momento non esiste. Per via della burocrazia, della giustizia civile che non funziona, della corruzione, è difficilissimo farsi pagare una penale e far rispettare un contratto.

Dunque, le telecomunicazioni in mani straniere rischiano di diventare un bene non più esigibile.

Si dirà, la Telecom è una società privata. Vero. Ma come dimostra la storia di questa crisi economica esistono dei settori dove il pubblico, se c’è un problema, ha il dovere di intervenire, anche a tutela dell’interesse dei privati (leggi: banche).

Dunque, per quello che posso capire, sì all’italianità di Telecom, sperando che questa crisi ci abbia insegnato a essere un po’ più seri nella gestione della cosa pubblica.

Ps: Alla Merkel mancano quattro deputati per avere la maggioranza assoluta al Bundestag. Nessuno parla, però, di scouting, compravendita, responsabilità, operazione-libertà. Poi uno dice perché i tedeschi non vogliono gli eurobond…

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