Oggi è una giornata che, se fossi alle elementari e dovessi scrivere il classico temino su quello che vedi attorno, definirei uggiosa. In realtà non sono così sicura che i bambini di oggi userebbero questo aggettivo; stando a Google pare che stia cadendo piuttosto in disuso e già all’epoca delle mie elementari suonava abbastanza obsoleto, tuttavia mi ricordo perfettamente che ci spingevano a usare un linguaggio che nel quotidiano non avremmo probabilmente mai incontrato.
Comunque, nell’ uggiosità della giornata, io mi sento parte di un momento storico. Le tasse aumentano, le aziende chiudono e lasciano sempre più gente senza un lavoro, i “giovani” (termine inflazionato e che mi suona anche un po’ beffardo per definire quelli che terminano i cicli di formazione e vorrebbero/dovrebbero cominciare a entrare nel sistema produttivo, ossia nel “mondo del lavoro”) sono privi di prospettiva, una generazione saltata e bla bla bla. Fin qui niente di nuovo, ma in questi giorni si sta consumando un dramma degno della più sofisticata tradizione culturale del paese.
Eh si, qualche giorno fa il più noto cavaliere del lavoro (ma perderà il titolo?) d’Italia è stato abbandonato da un manipolo di sodali, prontamente definiti “traditori”, stavolta nella più tradizionale storia politica del paese.
Costoro hanno osato contrapporsi alla sua idea di far crollare un governo di alleanza che egli stesso tempo fa volle. Il suddetto individuo sperava con un colpo di coda di tornare a pronte elezioni e di farsi ricoprire nuovamente dalle grida di gioia del suo solito pubblico, in un atto di disperato tentativo di sfuggire al tramonto inesorabile.
Gli altri (non crediamo che tengano davvero “all’interesse del paese”) approfittavano dell’occasione (la debolezza politica, risultato di una ormai definitiva condanna) per alzare la testa dicendo che non ci stavano a far prevalere un desiderio di salvezza personale su uno di salvezza nazionale ma dimostrando invece piuttosto che quando il gatto è fuori, i topi ballano. Ballano perché dopo anni passati a fare i perfetti servi del padrone trovano finalmente uno spiraglio verso un’autonomia quasi insperata. Giungono perfino a regalare al pubblico una scenetta tragicomica in tv, che io almeno non avevo mai visto: insultano placidamente quelli provenienti dalle stese fila che però son rimasti fedeli al padrone, come se fossero esponenti di un partito opposto (in tal caso non ci farebbe più ridere né piangere, è troppo comune).
Il re è solo, triste, privo di vigore, e con “interno travaglio” deve accettare di tornare sui suoi passi e prendere atto che alcuni dei suoi l’hanno avuta vinta. Per certi versi mi fa venire in mente il Gesualdo di Verga.
Il momento è storico perché non accade così spesso di vedere un leone ferito e abbacchiato, dopo aver vissuto tutta la propria storia di elettore con lo stesso leone nel pieno delle sue forze, aggressivo e apparentemente indomabile. Ho assistito ad una perfetta curva di ascesa e poi discesa. E i leoni mi scusino per il paragone infelice.