Alla fine della prossima settimana sapremo qualcosa di più del futuro di Alitalia. In programma nei prossimi giorni ci sono la scadenza del periodo in cui i vecchi soci possono decidere di partecipare all’aumento di capitale e una riunione del Consiglio di Amministrazione che verosimilmente approverà un piano di emergenza con ampi tagli a rotte, flotta, dipendenti e stipendi.
Salvo colpi di scena non verserà un euro Air France-KLM che, oltre ad essere il socio di maggioranza relativa, è anche il partner industriale a cui Alitalia è legata da tanti accordi che sarebbe difficile e costoso rescindere. I Francesi hanno appena svalutato la loro partecipazione in Alitalia a zero, insomma ritengono che Alitalia non valga un euro e che non valga la pena di versarci nemmeno un euro. Detto dall’unico fra i soci che sa il mestiere è una sberla sonora, ma sappiamo che Air France sta giocando una partita a poker che concluderebbe un processo di avvicinamento ad Alitalia iniziato a nel lontano 2002. Chi disprezza vuol comprare, dice il proverbio.
Il gruppo Benetton, che controlla Fiumicino, l’aeroporto che più di tutti risentirebbe del tracollo di Alitalia, verserà l’obolo, con l’occhio rivolto con preoccupazione alle fatture non pagate, che probabilmente sono più vicine ai 150 milioni che ai 100. Intesa Sanpaolo, madrina della fragile linea aerea e pure esposta per cifre considerevoli, sarà della partita, timorosa delle conseguenza di un crac sul suo bilancio 2013. Roberto Colaninno, che ha promesso di lasciare la presidenza, una presidenza segnata dal disastro economico e da un dilettantismo imbarazzante, pure sottoscriverà l’aumento di capitale, un fallimento potrebbe avere sgradevoli strascichi giudiziari.
A parte qualche singolo detentore di quote minori, i patrioti che nel 2008 cedettero interessatamente alle lusinghe di Silvio Berlusconi e hanno perso per intero il proprio investimento, staranno alla larga, certi che altri soldi dati ad Alitalia sarebbero gettati al vento. Provvidenziale sarà l’intervento dei nuovi entusiasti soci, Poste Italiane e UniCredit. L’entusiasmo di Massimo Sarmi, capo delle Poste, è direttamente collegato al desiderio di essere riconfermato dal Governo nella prossima primavera, quello di UniCredit deriva, oltre che dallo storico rapporto con il gruppo Benetton, dalla speranza che qualche mese di ossigeno possa permettere ad Alitalia di trovare un partner industriale che, al contrario di Air France, abbia voglia di ripagare i debiti.
Il Governo Letta, dal canto suo, corre indecorosamente per il mondo col cappello in mano, nella speranza di accasare questa figlia sventurata con una linea aerea ricca ed esotica, dimenticando che la figlia è davvero bruttina e nessuno la cerca, dopo la rottura del fidanzamento francese. Dio solo sa se verrà effettivamente trovato un marito disposto a mantenere Alitalia e le sue perdite. Si parla di Cinesi, Russi, e insciallah Arabi e difficilmente si scopriranno le carte prima della chiusura dell’ aumento di capitale, chiusura che però pare non definitiva, pare che chi dice no oggi possa ripensarci entro la fine dell’anno.
L’acquirente esotico si troverebbe comunque a fronteggiare il divieto comunitario di avere la maggioranza delle azioni e, francamente, non si capisce quali patrioti vorrebbero restare in Alitalia, sopportandone eternamente metà delle prevedibili perdite. UniCredit ha già dichiarato di essere solo di passaggio, dunque se anche arrivasse lo sceicco bianco dagli Emirati, chi deterrebbe il restante 51%? Le Poste per sfruttare le improbabili sinergie col proprio micro-vettore Mistral? L’ unica sinergia, visto che Mistral vola spesso a Lourdes, sarebbe portare soci e creditori in pellegrinaggio ad implorare un miracolo.
Personalmente ritengo improbabile che Alitalia venga acquistata dalla russa Aeroflot, che non è abbastanza grande da poterne sopportare le perdite annuali. Quando si parla di Cinesi non si capisce quale dei loro tanti vettori interverrebbe e, non avendo un hub vero in casa, non si capisce perché dovrebbero averne uno a Roma. Tuttavia il sistema delle compensazioni, quello stesso che aveva permesso a Berlusconi di reclutare i patrioti, potrebbe convincerli, ma mi sembra difficile.
Maggiori possibilità potrebbe avere l’ingresso della Etihad di Abu Dhabi, se ci sforza di dimenticare che vola in Europa a Dublino, Bruxelles, Ginevra, Parigi, Amsterdam, Londra, Manchester, Berlino, Düsseldorf, Francoforte, Monaco, Mosca, a Minsk in Bielorussia, pure ad Atene nella Grecia in crisi, persino a Larnaca, Cipro, ma non ha mai, mai ritenuto interessante volare a Roma pur avendone i diritti, in Italia è sempre e solo andata a Milano. Le vie di Allah sono però infinite e allora possiamo credere che Etihad, che ha da poco acquistato il 24% dell’indiana Jet Airways, per mettere seriamente piede in un mercato di oltre un miliardo di persone, brami avere un hub in un aeroporto, Fiumicino, dove fin qui non ha mai volato e in un Paese che certo non è strategico come l’India.
Tuttavia Etihad, che delle grandi compagnie del Golfo è quella più prudente nell’aprire rotte e acquistare aerei, ha però comprato quote in molte piccole linee aeree europee, senza apparente logica che quella di estendere la propria influenza politica, forte del portafogli praticamente inesauribile dell’ Emiro di Abu Dhabi. Affermare che starà lontano da Alitalia, che pure in perde in modo esagerato, equivarrebbe a bluffare in una partita a poker con l’ Emiro, certi che non rilancerebbe. Me ne guardo bene.
Si sa che il desiderio europeo di Etihad è proprio Air France-KLM, che è a corto di quei capitali che ad Abu Dhabi abbondano. Come Qatar Airways è entrata nell’ alleanza di British Airways e si parla di forti legami fra Lufthansa e Turkish, Etihad si è già fatta avanti a Parigi e per ora è stata respinta, ma non demorde, è ipotizzabile che per prendere la non strategica Alitalia rompa definitivamente con i Francesi?
Più segreto del quarto segreto di Fatima e chissà se Mistral può aiutare, è capire come Colaninno e i suoi abbiano coraggiosamentesperperato il miliardo e oltre versato agli inizi e, finiti i soldi, invece di lasciare abbiano raddoppiato le perdite, gettando al vento anche centinaia di milioni ottenuti chissà come in prestito dalle banche. Una ventata di costante ottimismo deve aver influito su tutti i protagonisti della vicenda, alle prese con una linea aerea solita perdere almeno un milione di euro al giorno. Probabilmente erano tutti certi che Air France avrebbe generosamente pagato il conto, desiderosa di acquistare quel gioiello di Alitalia a qualsiasi prezzo. Possibile che nessuno abbia chiesto ai Francesi quali fossero le loro intenzioni? E per quale motivo perdere miliardi per tenere in scena cinque anni questa sceneggiata dell’italianità, se si contava sui soldi di Air France?
I poveri Francesi o meglio Franco-Olandesi, con gli Olandesi fermamante contrari a dare anche un solo euro ad Alitalia, memori dello scherzetto sulla mancata chiusura di Milano Linate che li vide vittime fra 1998 e 2000, fanno ora la parte dell’uomo nero, perché pretendono una riduzione delle attività di almeno il 20%, che elimini i voli in maggior perdita e hanno osato chiedere una due diligence, cioè un approfondito esame dei conti, perché evidentemente a loro non tornano, verifica che Alitalia sdegnata non consente.
Sono disposti, pare, a prendersi Alitalia, ma gratis e senza debiti. Il flusso di passeggeri da/per l’ Italia che continuerebbe a passare attraverso i loro hub di Parigi e Amsterdam, tolto qualche volo intercontinentale lasciato a Roma per motivi d’immagine, compenserebbe le perdite residue di un’Alitalia sottoposta a tagli drastici e nessun vettore di altri continenti potrebbe sfruttare Alitalia più di loro. Salvo l’intervento dello zio d’America, Russia, Cina o Golfo, ci si ritroverà perciò a dover fare i conti con i Francesi, che tengono saldamente il coltello dalla parte del manico. Gli “inaccettabili” tagli che avevano chiesto verranno paradossalmente decisi da Alitalia stessa fra pochi giorni in un piano che, a parole, servirà a fare a meno di Air France, mentre farà proprio quello che Air France chiede. Resta la sensazione che sia tuttauna grande messinscena per rendere accettabile al popolo, a rate, quello che Air France avrebbe voluto in un colpo solo. Non mi stupirò se tutto finirà dunque a tarallucci e Bordeaux.
Resta l’altra grande questione, quella che, con Alitalia sotto Air France, l’Italia diventerebbe Cenerentola dell’aviazione, ruolo che in realtà ha già da decenni. Alitalia ha persino chiuso il volo per Pechino per incapacità di riempire l’ aereo più piccolo che c’è verso il Paese più grande che c’è e il suo ruolo nel collegare l’Italia al resto del mondo è marginale. Inoltre, per chi parte da Milano, Venezia o Napoli, fare scalo in qualunque altro hub europeo invece che a Roma è esattamente la stessa cosa, anzi è meglio, perché negli hub veri ci sono voli per ogni angolo del mondo. Dietro ai lamenti sulla sorte di Alitalia e la presunta sua “strategicità” per l’Italia ci sono solo gli interessi economici locali del Lazio e di chi si illude che Fiumicino diventerà un grande hub sol perché, al contrario di Parigi o Londra, ha spazio per costruire nuove piste. Fra venti, trent’ anni o più sarà forse un argomento valido, ma per adesso è solo un sogno e né il Governo che a Roma ha la sede, né i proprietari, né il mondo delle costruzioni che intravede appalti per miliardi, né gli Enti Locali, i partiti e i sindacati che sognano migliaia di operai al lavoro nei cantieri hanno voglia di risvegliarsi. Anche tenendo conto dei contraccolpi del ridimensionamento di Alitalia, Fiumicino resterà comunque vicino alla saturazione e soprattutto un aeroporto che “fa schifo”, come ha affermato la stessa proprietà. C’ è anche da ingrandire, ma soprattutto da rifare, bisogna solo abbandonare irrealistici sogni di gloria.
Per garantire i collegamenti diretti fra l’ Italia al mondo, oltre ai pochi che Air France-KLM si degnerà di concedere, meglio lasciare a chiunque lo desideri la libertà di sfruttare i nostri aeroporti intercontinentali, Roma Fiumicino, ma anche e soprattutto Milano Malpensa e Venezia, senza nessuna sottomissione di un aeroporto all’ altro per inseguire il sogno ormai impossibile del grande hub, qualcosa che abbiamo perso nella realtà da dieci, se non vent’anni di dissennata gestione di Alitalia e dei nostri aeroporti. È assurda l’idea dei Letta che si possa rafforzare Fiumicino facendo terra bruciata al nord, in particolare mantenendo aperta quella sciagura nazionale che è l’aeroporto di Linate.
Salvo che non arrivi il papi aereo con qualche miliardo, i soldi dell’aumento di capitale, nonostante i tagli, dureranno pochi mesi. Ci ritroveremo allo stesso punto e Air France rifiuterà sempre di farsi carico dei debiti, che saranno nel frattempo cresciuti. Creditori commerciali e banche non si illudano, se non ci sarà un papi non recupereranno i loro soldi. Si perderà un po’ di tempo, con altre perdite, per rassegnarsi finalmente e, se non ci sarà una vendita ad Air France, ci sarà una procedura concursuale in cui Alitalia verrà sgravata dai debiti. Chi ha avuto ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato ha dato, scurdammoce o’ passato…
Del resto, quando si parla di linee aeree, non bisogna dimenticare l’immortale massima di Richard Branson, padrone della Virgin Atlantic: “Per diventare milionari basta partire da miliardari e investire in una linea aerea”. Colaninno evidentemente non la conosceva, ma non è il solo.
CETERVM CENSEO LINATE ESSE DELENDAM