E’ cominciata la guerra per dividersi qualche straccio di soldi, per la precisione si parla di dieci miliardi di euro. Il capo del governo sembra voglia concentrare l’attenzione sul lavoro e sui redditi bassi, attraverso la riduzione dell’Irpef sui primi scaglioni. Mi pare la soluzione giusta sia dal punto di vista sociale, essendo i salari italiani tra i più bassi del mondo sviluppato, sia dal punto di vista economico perché rilancerebbero i consumi, momento iniziale anche per la ripresa degli investimenti. La Confindustria, invece, sostiene che i soldi debbano essere dati alle imprese attraverso la riduzione dell’Irap, e questa richiesta riscuote qualche appoggio anche all’interno dello stesso governo. Questa lamentela dimostra la mala fede dell’organizzazione datoriale quando invoca la riduzione delle tasse sul lavoro: in realtà i risparmi fiscali li vuole solo per sé. Che poi quei soldi servirebbero ben poco a rilanciare gli investimenti, stante la persistente insufficienza della domanda, non gliene importa un fico secco, basta portare qualche soldo a casa spillati alla collettività. Tra l’altro la Confindustria non lega neanche quella richiesta a qualche impegno in termini occupazionali, no!, vuole quei soldi punto e basta. Direi che questo comportamento rischia di essere vergognoso, sapendo cosa stanno passando i lavoratori italiani e le loro famiglie.
Cosa hanno fatto gli imprenditori italiani dei super profitti degli anni ’80 e ’90, profitti realizzati mentre i dipendenti nello stesso periodo si impoverivano? Provo a dirlo io cosa hanno fatto: hanno alimentato le bolle speculative che poi sono scoppiate e ci hanno regalato questa crisi.
Nei momenti difficili gli imprenditori consapevoli del loro ruolo sociale e storico, mettono mano alle sostanze personali accumulate nei periodi di vacche grasse e li profondono nelle loro imprese. Da noi invece la maggior parte delle imprese è abituata a lavorare con i soldi delle banche e con quelli dello stato. Infatti è altresì arcinoto che un’altra caratteristica del sistema imprenditoriale italiano, oltre ad avere i salari più bassi, è quella di avere imprese sottocapitalizzate e iperindebitate e, si sa altrettanto, le imprese sottocapitalizzate resistono meno agli scossoni delle crisi. La nostra classe imprenditoriale, che ha tanti meriti per aver realizzato il “miracolo” degli anni cinquanta e sessanta e per aver tenuto in piedi, nonostante tutto, l’Italia anche in questi anni, grazie soprattutto alle esportazioni, si porta poi dietro questi “difetti” che in alcuni momenti topici la rende di colpo inadeguata. Se gli imprenditori sono refrattari a rischiare i propri denari, vuol dire che non credono pienamente al futuro delle loro aziende, e per questo non vogliono rischiare soldi loro, ma quelli della collettività (anche i soldi delle banche sono della “collettività” dei depositanti e dei risparmiatori). Però continuando di questo passo, e impedendo all’economia “reale” di ripartire, i loro soldi rischiano di andare a finire nella prossima bolla speculativa dove verranno bruciati. Poi daranno di nuovo la colpa alla “finanza” che li ha fatti fessi vendendo loro dei sogni di guadagni immediati e senza rischi. Cari imprenditori, non è meglio che quei soldi li rischiate nelle vostre aziende?