Io che spesso ho paragonato Mantova a Pavia o Cremona o Piacenza e, altrettanto spesso l’ho utilizzata come misura per dare una spiegazione al fatto che i Gonzaga tirassero più dei Longobardi e dei Visconti messi assieme, ora ce l’ho fatta. E ho capito. Facile, anzi proprio evidente: a Mantova ci sanno fare e valorizzano tutto quel che c’è dentro e fuori le mura della città, a Pavia ad esempio, dove la materia prima-culturale e artistica è dieci volte tanto, no.
Da Lombarda puoi capire che i tuoi corregionali la scelgano come meta per la gita fuori porta o che sia la location -quasi- preferita per le scolaresche seguite dalle prof di arte invasate con Mantegna; poi arrivi lì e tutte le volte sei quasi l’unica che parla italiano: il resto dei turisti sono tedeschi, inglesi, olandesi, belga, francesi, russi, arabi, australiani. Ok la vicinanza con il Lago di Garda sulle cui sponde si trasferisce mezzo nord Europa, ma Mantova ci mette del suo in ogni caso, questa è l’arma vincente.
Tutto si concentra in tre piazze –poche è vero, ma sono inzuppate di storia e cultura- che lentamente ti portano al Castello e al Lago, e poi al Mincio, e poi ancora al Po. Quando arrivi in Piazza Delle Erbe –il vero centro della città con i suoi portici e i suoi bar- scopri che ciò che sembra un battistero per via della forma rotonda è una chiesa e che un palazzo che solitamente vedi sul Canal Grande può essere anche qui perché un mercante lo aveva fatto costruire per sé, in cotto con le decorazioni in stile veneziano.
A Mantova stai per entrare a Palazzo Ducale, che altro non è che una città-palazzo perché comprende numerosi edifici, giardini, musei- e ti propongono anche di salire su un traghetto e di farti una crocierina sul Lago di Mezzo e sul Mincio che, si sa mai, si possano vedere ninfee e fiori di loto galleggiare indisturbati.