Oggi un articolo di Federico Fubini su Repubblica dà conto di una lettera dei commissari Cottarelli e Cantone a enti pubblici per acquisti fatti fuori dalle regole. In larga misura, si tratta di acquisti fatti senza passare per la Consip, l’istituzione che dovrebbe concentrare gli acquisti pubblici. L’articolo lascia il lettore con due domande aperte. La prima è perché amministrazioni pubbliche dalla reputazione eccellente abbiano compiuto sciocchezze simili. La seconda è se queste amministrazioni abbiano davvero speso di più di quelle che hanno rispettato le regole facendo passare i propri acquisti da Consip. La risposta a queste due domande potrebbe portare a una conclusione diversa da quella dell’articolo (il fumus di comportamenti corruttivi) e segnalare una realtà molto più semplici e del tutto diversa: la realtà che il metodo Consip fa acqua. Poiché l’istituzione in cui lavoro non è coinvolta in questa vicenda, e quindi non ho giustificazioni da dare, posso rivelare che una parte della verità sta proprio nella seconda spiegazione: il metodo Consip non funziona. Ecco qui una storia vera che lo prova.
Una mia collega, mossa dal bisogno di avere forza di calcolo per verificare se le sue equazioni trovavano riscontro nei dati, ha deciso di destinare una quota dei nostri fondi di ricerca all’acquisto di un computer più potente. Ha fatto una ricerca, e ha trovato una buona occasione, con un rapporto tra qualità e prezzo ideale. E’ andata a chiederne l’acquisto, e “gli uffici” (così chiamiamo il personale amministrativo dell’università) hanno negato l’acquisto perché l’oggetto richiesto non era iscritto nella lista Consip. Ce n’era uno uguale, al costo di 200 euro in più. La segretaria amministrativa ha caldeggiato (che sta per obbligato) l’acquisto di quest’ultimo.
Ci saremmo indirizzati verso la soluzione di uno spreco di 200 euro su circa 1000 nel pieno rispetto delle regole se non fosse intervenuto un angelo: “l’angelo della spending review”. Mentre la collega deplorava il caso con i suoi amici pendolari in treno, e mentre dal dibattito emergeva come una verità vecchia come il cucco che nella lista Consip ci finiscono solo gli avanzi di magazzino, l’angelo della spending review ha fatto comparire dal nulla uno che lavorava nell’azienda del computer ottimo, che ha promesso, come piacere personale, di metterne un lotto in lista in modo che la mia collega lo potesse acquistare. Non so se la cosa è andata a buon fine, ma in questo caso avremo risparmiato 200 euro e la lettera di Cottarelli. Ma senza l’angelo della “spending review” appare evidente che evitare la lettera di Cottarelli sarebbe costato, al solo nostro gruppo di tre persone, 200 euro.
Ma non è tutto. Quando ho raccontato la cosa alla mia “course manager”, mi ha detto che è il segreto di Pulcinella. Ogni giorno, per ogni iniziativa, chi nei nostri uffici vuole garantirsi un acquisto di qualità e a buon prezzo, deve cercare di convincere i migliori fornitori a entrare nella lista Consip. In più, mi dice, è noto a tutti che le aziende su questa lista fanno cartello. E’ vero che nell’articolo di Fubini ci si riferisce a forniture di commodity (gas, energia, telefonia), ma anche in questi casi la qualità ha un valore. Proprio nei giorni del caso che ho raccontato, ebbi l’occasione di osservare la stessa realtà in una corsia di ospedale (anche questo non finito nella lista nera di Cottarelli e Cantone) per le flebo. Le flebo non mi sembrano prodotti più speciali della fornitura di energia o gas. E qui la cosa era un po’ più drammatica. Non si capiva se il fatto che il lquido non scorreva nella flebo fosse un problema delle vene di mia madre, dell’imperizia dell’infermiere, o dei tubi delle flebo. Alle nostre rimostranze, medici e infermieri ci hanno detto che le flebo date in fornitura facevano schifo, e la nostra osservazione che lo stesso problema si verificava ad altri pazienti, altri infermieri e altri reparti ci ha confermato che le lamentele di infermieri e medici erano giuste.
Quanto costerà, in termini di spesa, la cattiva qualità degli acquisti? Vogliamo considerare il risparmio del 20% che è capitato alla mia collega come un primo stimatore? Non abbiamo dati per stimatori efficienti, ma abbiamo la sensazione che gli sprechi nascosti nel rispetto delle regole siano di ordini di grandezza maggiori a quelli evidenziati dalla evasione delle regole. E, forse, in qualche caso le regole possono essere state aggirate proprio per evitare uno spreco dovuto alla cattiva qualità dell’acquisto.
Purtroppo, il tema che Cottarelli ha di fronte è molto profondo e complesso, e pone le radici addirittura nel passato lontano delle economie pianificate. Si chiamava “inflazione repressa”, o “inflazione nascosta”, ed era un tema tipico delle economie di tipo socialista. Il concetto era esattamente lo stesso: in presenza di controllo dei prezzi e in assenza di controllo della qualità, le pressioni inflazionistiche si scaricavano su una cattiva qualità invece che su prezzi più alti. Nell’economia sovietica il problema era così estremo che i beni prodotti nell’economia ufficiale, quella pianificata, erano praticamente inservibili. Ricordo che mi sono imbattuto in questi temi nel 1989, quando al mio arrivo all’Ufficio Studi della Comit, mi venne dato il primo incarico di un lavoro di background per una commissione di saggi sulla convertibilità del rublo (e uno dei tre membri era Mario Monti). Il lavoro non venne concluso, probabilmente proprio perché non avendo una misura di questa inflazione, non eravamo in grado di stabilire neppure un livello approssimativo del tasso di cambio.
Ma al di là dei problemi di misurazione, cosa implica questo concetto di “inflazione repressa”, ovvero la bassa qualità degli input della pubblica amministrazione, per la spending review? Implica la necessità di sviluppare un processo di valutazione della qualità degli acquisti. Al momento, ad esempio, in università abbiamo un processo di valutazione di qualità del nostro output, l’insegnamento e la ricerca, che impiega molte energie e risorse in un processo che copre tutto l’anno. La valutazione della qualità è fatta da comitati ai diversi livelli (corsi di studio, scuole, dipartimenti e atenei) e usa grandi quantità di dati che coinvolgono riscontri oggettivi o pareri di studenti o “peer”. Evidentemente, il caso che abbiamo illustrato mostra come nel processo di acquisto non vi sia traccia di un analogo processo di valutazione della qualità. La stessa constatazione può chiaramente essere estesa agli input di risorse umane, ma questo ci porta a considerazioni che meriteranno un post dedicato.
Cosa succederà ora se l’Arma dei Carabinieri, il Ministero dell’Interno, o le altre amministrazioni incriminate, dimostreranno che hanno scelto di fare acquisti come hanno fatto perché hanno risparmiato, o perché la qualità delle alternative disponibili tramite Consip non era soddisfacente? Sarà solo un autogoal o sarà forse la fine della partita della spending review? Sarà senz’altro il segnale che la “spending review” deve ricominciare da zero: dalla scoperta dei segreti di Pulcinella girando tra gli uffici e organizzando la qualità, piuttosto che da numeri analizzati in solitudine in un ufficio, anche se da un brillante collega economista.
PS. Questo post è dedicato alla mia “course manager” Margherita, l’amica napoletana che mi svela i segreti di Pulcinella, nel giorno del suo compleanno: un esempio che l’efficienza e la capacità di lavoro napoletana, quando c’è, non teme confronti al mondo. Auguri, Maggie!