Cominciamo anche noi con: “Warning: we rarely feel to alert readers of explicit content. But our discussion of the online sex trade requires frank language and some may find the topic distasteful.” Tradotto: “Occhio, qui si parla di topa”.
“Manola invisibile”: scegliamo di tradurre così il titolo “invisibile hand-job” osato dall’Economist. E ci riferiamo alla famosa battuta da ragazzi, o almeno quella che si usava a Firenze quando si usciva la sera. “Tu porti la Manola?”. Tu rispondevi: “Manola chi?”. E l’altro: “Manola, la manina che fa tutto da sola, ah, ah”. La traduzione a senso sarebbe: “teoria della sega invisibile”, ma si perde il riferimento ad Adam Smith (almeno per quanto ne sappiamo).
“Libera topa in libero stato” è la teoria che leggo nell’editoriale di apertura dell’Economist, e non riesco a capire se ho preso un colpo di sole io, o l’hanno preso loro. E il tutto è legato a una teoria ancora più aberrante: il fatto che internet ripulisce il mercato della prostituzione, e lo rende una “service industry” pulita come le altre. Internet, che in genere imbastardisce i temi come la cultura, la tecnica e la politica, nobilita i lavori bastardi.
Poiché internet ripulisce la vendita del corpo delle donne, l’Economist critica gli approcci proibizionisti usati in molti stati. In particolare, si schiera contro quella che pare essere la linea del Parlamento Europeo, cioè la penalizzazione della domanda di prostituzione, e conclude: “Indeed, the unrealistic goal of ending the sex trade distract the authorities from the genuine horrors of modern-day slavery…Governments should focus on deterring and punishing such crimes – and leave consenting adults who wish to buy and sell sex to do so safely and privately on line”.
Insomma, come nel caso dei mercati finanziari (che non a caso io chiamo il secondo mestiere più antico del mondo), secondo l’Economist il problema sta in quello che tecnicamente chiamiamo microstruttura del mercato, cioè l’organizzazione dell’incontro tra domanda e offerta e la formazione del prezzo. E’ sfuggita ai titolisti leggendari dell’Economist che in pratica stanno sponsorizzando lo stesso passaggio dal mercato “open-outcry”, o “alle grida” (“annamo, cocco?”) al mercato telematico. Stranamente uno dei problemi principali del mercato telematico finanziario (l’anonimato della controparte) non si ripresenta nel mercato “screen-based” della patonza. L’Economist ritiene che questo mercato telematico della gnocca sconfigga un sistema con “market maker” (papponi e mezzane). Non si capisce il nesso: perché non ci può essere una piattaforma organizzata da un pappone che poi ti organizza la “physical delivery” in un bordello qualsiasi o per strada? E siamo sicuri che non ci siano anche nel mercato telematico del sesso dei “dark pool” in cui invece di darlo (bid) lo prendi (ask)?
Il processo di formazione del prezzo è ancora imperfetto, ma l’Economist lo registra e lo accetta senza porsi ulteriori domande: “gentlemen really do prefer blondes, who charge 11% more than brunettes”. L’Economist non commenta oltre su questo nuovo rompicapo dell'”underpricing” delle brune. Perché non si tingono? Ma c’è di piu’. C’è anche un vero e proprio “IPO underpricing”: “inexperience is another reason newcomers to prostitution may underprice themselves, at least at first”. Nel 1991 Marco Ratti ed io abbiamo fatto la stessa analisi per un campione di 61 casi: purtroppo le nostre erano solo aziende. Ci sentiamo comunque di consigliare all’Economist la nostra spiegazione: un modello di “info production”. Fai uno sconto sulla prima pipa, riprendendo poi i soldi nelle scopate future (chiamerei la teoria in modo parallelo “staggered fucking”).
Sull’Economist c’è anche un servizio di tre pagine, basato sui “big” data (e vai con il doppio senso, tu che il dato ce l’hai piccolo). Sulla base di 190000 profili si registra una preoccupante tendenza deflazionistica. I prezzi sono relativi, e quindi aggiustati per l’inflazione. Si osserva un brusco calo particolarmente negli anni di crisi, e l’Economist magistralmente lo spiega dicendo che andare a puttane è un bene superiore, cioè è una spesa che tagli quando non hai abbastanza soldi. L’altra spiegazione è che la prostituzione è un servizio ad alta intensità di capitale umano, ed è un caso unico in cui il capitale umano è più mobile internazionalmente del capitale fisico. Infine, proprio come nei mercati ci sono anche gli spread, e come nei mercati finanziari lo spread è più basso quando c’è il rapporto anale. Una cosa chiamata “kiss” (non voglio credere sia il bacio comune) costa quasi tre volte di più. Mi pare che l’Economist non commenti.
Che sensazioni registrare di questa lettura dell’Economist? Premetto che non sono riuscito a leggere tutto l’articolo: soffro di “noia precox”. Però se l’autore del pezzo mi chiedesse: “ti è piaciuto?”, gli dovrei rispondere, ansimando un po’, che una cosa mi ha fatto male e una mi preoccupa. Mi ha fatto male che l’uomo che nell’ultimo ventennio ho sempre combattuto, e che diceva: “la patonza deve girare” era vent’anni avanti rispetto all’Economist. La cosa che mi preoccupa è che se Internet rende pulito e trasparente ciò che è sporco, solo perché contiene i commenti degli utenti e dei fornitori, non vorrei che divenisse un immenso magazzino di riciclaggio di atti illeciti. Insomma, mi spiacerebbe vedere nascere una piattaforma che potrebbe chiamarsi ad esempio “Pizzo-on-line”, in cui un utente possa scrivere: “servizio un po’ rude all’inizio, ma poi senz’altro efficiente, e non lo scrivo certo perché mi stanno puntando una pistola…Ottimo”.