Così è…se traspare. Storie di finanza e (mancanza di) trasparenzaE la Carrozza si trasformò in Madia: la solita favola di PD e PA

La Carrozza si trasformò in zucca, diranno i miei piccoli lettori. No, si cambiò in Madia, ma è lo stesso. Provate voi a tornare a casa dal ballo con una Madia. E allora i dipendenti pubblici conti...

La Carrozza si trasformò in zucca, diranno i miei piccoli lettori. No, si cambiò in Madia, ma è lo stesso. Provate voi a tornare a casa dal ballo con una Madia. E allora i dipendenti pubblici continuano a ballare, tutti insieme, brutti e belli, bravi e scarsi, con lo stipendio bloccato dal 2010, e una perdita che Gianni Trovati sul Sole 24 Ore ha calcolato intorno al 9%. Nello stesso modo, hanno continuato a ballare le università dopo che la Carrozza ha fatto sparire l’assegno da 41 milioni destinato a premiare il merito. Curioso: due donne così diverse alla fine si sono comportate nello stesso modo. Una brillante accademica e una buona a nulla prestata alla politica hanno raggiunto lo stesso risultato: obbedire ai tagli proposti dal loro staff senza battere ciglio, e senza neppure minacciare: “se non premiamo il merito, me ne vado”. Questo solleva una domanda importante, che nessuno pone: chi è contro il merito in Italia? Sono voci che vengono dal mondo della PA? O vengono dal mondo del PD? O forse, e questo è lo scenario peggiore, ma tutt’altro che incredibile, c’è un’intersezione tra PD e PA che rema contro il merito. Se è così, come ci accingiamo a argomentare, Renzi è già finito.

L’anno scorso la Ministra della pubblica istruzione, università e ricerca, ritirò una somma, peraltro non enorme (41 milioni) che aveva promesso di distribuire per retribuire gli atenei che avevano investito di più sulla analisi e lo sviluppo della qualità. La motivazione fu che le università che avevano fatto peggio avrebbero visto tagliati i loro fondi oltre la soglia del 5%, che era stata fissata nella stessa legge. La risposta nelle università migliori fu immediata e violenta. Ricordo che il mio Rettore invio una lettera invitando i docenti a informare gli studenti e stigmatizzare l’accaduto. Reazione comprensibile per tutti gli sforzi che a Bologna mettiamo in un processo che dura dodici mesi l’anno, sulla questione della qualità. Ci fu qualcuno che si oppose a questa presa di posizione sul merito? Sì, la sezione di Bologna della CGIL-FLC rispose che non ci si sarebbe dovuti lamentare della sparizione dei 41 milioni per il merito, ma dei 41 milioni per tutti. Perché discriminare chi la scienza e la ricerca se l’è tenuta dentro per tanti anni e non ha mai pubblicato niente, a favore di quei ricercatori di carattere più espansivo che la ricerca la pubblicano? Non sono questi e quelli creature di un barone? Ecco una onesta presa di posizione contro il merito. Perché la Carrozza non ebbe il coraggio di tenere duro e rimangiarsi la promessa del limite del 5% ai tagli agli scarsi, invece di rimangiarsi quella dei 41 milioni per i meritevoli? Perché non rassegnà le dimissioni? Forse perché la posizione della FLC-CGIL bolognese non era proprio così isolata nella CGIL e forse anche nel PD?

E veniamo a Maria Anna Madia. Qui una spiegazione politica sembra eccessiva, La sventurata infatti da sempre predica la sua inesperienza in politica, che ricordo lasciò sconvolta Chiara Saraceno in una puntata di Ballarò. In realtà quando lo ha detto, tutti abbiamo pensato al Socrate dei dialoghi platonici. Era il massimo dell’antipatia: diceva di non sapere e poi si attaccava ai coglioni del malcapitato fin quando questo non si contraddiceva e gli doveva dare ragione. Invece la Madia è simpatica e sincera: lei dice di non sapere e effettivamente non sa, e non sa non solo di politica, ma in molti altri campi, inclusa la PA. Ha anche raccontato in una vecchia intervista a Repubblica che il suo debutto in politica è dipeso dal suo incontro con Veltroni al funerale di suo padre. Al funerale del mio, quando avevo dieci anni, c’era soltanto una zia maligna che disse a mia madre, che si chiedeva quale sarebbe stato il mio futuro: “macché studiare, fagli fare il vigile, vedi com’è già alto”. Mia madre è incazzata ancora oggi, quarantacinque anni dopo. Disse: lui studia, dovessi lavorare da spezzarmi la schiena. Il bambino ha studiato, e studia ancora, e siccome Dio ascolta tutto, la schiena di mia madre si è spezzata e l’ha lasciata su una sedia a rotelle. Comunque almeno non abbiamo avuto la visita di Veltroni, che ha invece segnato la vita della Madia (e non solo) condannandola all’ergastolo dell’inesperienza. La storia della Madia fornisce una spiegazione di antropologia culturale dell’avversione del PD al merito. Cosa può capire la Madia del merito? Cosa ha “meritato”? Non stupisce quindi che non le sia neppure venuto in mente di battere i pugni sul tavolo dicendo ad esempio: “il contratto si fa, anche con un monte salari ridotto, e lo facciamo basato sul merito”. Oppure: “il contratto alle forze dell’ordine di fa, se no me ne vado da dove sono venuta”.

L’ironia della sorte vuole che qualche anno fa, quando i renziani erano minoranza e la Madia se ne stava tranquilla con gli altri, io ebbi uno screzio pubblico su La Repubblica di Firenze con esponenti locali della maggioranza, per l’esattezza Giorgio Van Straten, che allora sedeva nel CdA RAI e Filippo Fossati, che era ai vertici dell’UISP. Contro l’arroganza di Renzi, che già allora si faceva sentire (e che io, arrogante, ritengo un pregio) Van Straten sosteneva di far parte di una generazione di “ragazzi che volevano cambiare il mondo” negli anni 70. Io replicai che stavano chiusi nelle sezioni, e al massimo avrebbero cambiato il mobilio. La mia argomentazione centrale era che questa classe politica del PD non aveva mai conosciuto la competizione. Fossati replicò che stavano chiusi nelle sezioni perché fuori noi sparavamo (mai vista una pistola in vita mia) e che la FIGC (intesa come federazione giovanile comunista) era molto selettiva. La cosa finì lì, ma io allora ebbi chiaro il problema: una classe politica del PD cresciuta al riparo delle sezioni, in contrasto con una società civile e del lavoro aperta e competitiva. Capii che in Italia fai politica se non sei buono a fare altro. Per questo la rottamazione di Renzi era una speranza. Mai avrei pensato allora che questi sarebbero parsi giganti rispetto alla generazione che avrebbe circondato Renzi.

In conclusione, la difesa del merito non è nel DNA del PD, perché la struttura del PD non è basata sulla competizione, e quindi non conosce il merito. Una parte di esso, la più sincera, come i colleghi della CGIL che abbiamo richiamato sopra, lo avversano addirittura in maniera palese. Ecco spiegato perché né la Carrozza né la Madia hanno nemmeno pensato di farne un punto discriminante e di mettere sul piatto la loro poltrona per difendere il principio. Questo è un problema serio per Renzi, ed è il motivo per il quale la scelta di tenere la segreteria oltre al posto di primo ministro è stata sbagliata. Ma non è stata sbagliata perché ha limitato il dibattito, come sostiene Bersani. E’ stata sbagliata perché non ha regolato i conti con la generazione di Bersani, D’Alema e Veltroni. Anzi, oggi che tutti sono renziani ne ha accolto i nipotini (Madia e Mogherini in testa). E Renzi da segretario non ha fatto la prima riforma che avrebbe dovuto fare, e senza le quali le altre non seguiranno mai: la riforma del PD. Speriamo che l’Europa non se ne accorga. Intanto un trafiletto di giornale riportava che Napolitano ha ricevuto Giavazzi: Alan Friedman lo sa?

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