Nonostante controversie, sentenze contrarie e proteste, la multinazionale Uber continua a crescere, e, secondo le ultime indiscrezioni, potrebbe arrivare a toccare i 70 miliardi di dollari dopo il prossimo round di finanziamenti.
L’azienda si prepara all’ingresso in Borsa, con qualche difficoltà: il futuro di Uber è condizionato da policy locali, da tribunali, da controversie con le lobby nazionali di taxi e trasportatori, e con la classe politica.
E dopo le sentenze di Spagna, Italia e Germania, trovare un piano B è diventato essenziale non solo per l’immagine ma anche e soprattutto per i conti.
Il modello di business di UberPOP era tanto semplice quanto controverso: chiunque può dare passaggi in auto, basta una vettura e un iPhone (fornito dall’azienda). Un modello come questo è replicabile in qualsiasi parte del mondo, con profitti alti e costi relativamente bassi. Una favola a lieto fine, se non fosse per le controversie che riguardano le leggi che disciplinano il trasporto di persone. Un sistema infinito di regole, ostacoli, licenze, e concessioni che mal si sposano con la velocità, e qualche volta la sfrontatezza, di un’azienda che tutto vuole tranne che fermarsi.
Il futuro di Uber per rimanere profittevole e poter aggirare sembra quindi dirigersi verso due strade alternative ai passaggi in auto:
– Le consegne: Uber gestisce una flotta di migliaia di auto in tutto il mondo. Se i passaggi vengono vietati, perchè non utilizzare gli stessi autisti per servizi alternativi? Questa è stata la strada intrapresa in Spagna e in Francia, a seguito dei divieti che hanno colpito UberPOP. In questi paesi la flotta di auto si è trasformata in una flotta di trasporti cibo, e poco tempo fa ha fatto il suo ingresso sul mercato UberRush, un servizio creato per le aziende che hanno necessità di consegnare in città in tempi rapidi (cibo, fiori, prodotti, pacchi ecc..). Per adesso disponibile a San Francisco, New York e Chicago, ci aspettiamo che in tempi brevi possa toccare anche l’Europa. Una valida alternativa da offrire nei paesi che hanno impedito lo sviluppo di UberPOP.
Anche in questo caso il modello di business è perfettamente “scalabile” ovvero replicabile su numeri enormi: poche barriere all’ingresso (chiunque può guidare un’auto), tecnologia Uber per velocità, efficienza e customer service, flessibilità sul lato offerta, e una domanda pressochè infinita.
-Le auto senza autista: abilitazione, iscrizione all’albo, licenza… Tutto quello che ha sempre bloccato gli autisti di UberPOP potrebbe essere aggirato con il pionieristico progetto di “self-driving cars”, letteralmente “auto che si guidano da sole”. Sembra fantascienza ma è già realtà per aziende come Google – azionista di Uber – che da alcuni anni sta testando per le strade della California delle auto completamente automatizzate, che si districano nel traffico senza aver bisogno di un autista.
Uber ha appena assunto due tra i più autorevoli ricercatori in materia, e forte della partnership con il colosso Google, non sembra essere distante dal traguardo, previsto per il 2018.
Insomma, laddove il mercato viene fermato dalla mano (non troppo invisibile) dei tribunali e dalle dinamiche di politiche pubbliche, ecco il reinventarsi di progetti e iniziative ancora più di rottura e sempre più innovative.
Uber ha creato un nuovo modo di interpretare il lavoro, e la logistica, e poco importa quale declinazione prenderà il servizio. Nel mondo esisteranno sempre persone che hanno bisogno di spostarsi, o di spostare un oggetto o un prodotto. E al tempo stesso esisteranno sempre persone che hanno bisogno o desiderio di lavorare, seguendo i nuovi canoni di flessibilità e potendo confrontarsi con barriere all’ingresso relativamente basse (una patente, e la proprietà di un’auto o una bici).
Queste tendenze sono state interpretate magistralmente dai manager di Uber una sola cosa è certa: nessuno fermerà Uber, perché nessuno potrà realmente fermare un mercato libero, fatto di domanda, e offerta. Forse neanche un tribunale.