di Francesco Carini – Homo Sum
In un periodo storico in cui l’Italia si ritrova nuovamente con le valigie in mano e con una netta e profonda spaccatura fra le classi sociali, si assiste quasi ad una regressione. Dagli anni ’80 in poi, la gente emigrata in Germania in precedenza era cominciata a tornare, mentre molti tabù, come quelli religiosi, erano stati dissipati da una fresca ventata di scienza. Adesso, ci si ritrova con la “meglio gioventù” pronta a lasciare il proprio paese e con milioni di persone sul lastrico, o ancor peggio con migliaia di ragazzi che gongolano al solo pensiero di uno stage (forse) retribuito. Situazione non di certo felice, ma quantomeno realistica.
Alla fine del XIX secolo, Giovanni Verga diede inizio al “Ciclo dei Vinti”, progettando la scrittura di 5 opere, di cui soltanto due sono state portate a termine: I Malavoglia e Mastro – don Gesualdo. Sicuramente non poco, dal momento che questi due romanzi hanno fatto la storia della letteratura mondiale e lasciato un segno tangibile in altri grandi autori del ‘900.
Anche se in versione differente, un altro grande artista è riuscito ad imprimere attraverso le sue interpretazioni nella mente dello spettatore un’immagine, che non è solo dello sconfitto, bensì dell’uomo in bilico, che non riesce a prendere una posizione per paura di perdere le miserie o le pochissime certezze possedute. Questo attore è stato Nino Manfredi, nato a Castro dei Volsci proprio il 22 marzo di 95 anni fa.
L’eclettico romano non fu soltanto un mostro sacro della commedia all’italiana, bensì il protagonista di pellicole epiche che sanno tanto di pugno allo stomaco dello spettatore per la loro forza espressiva.
In particolare, Manfredi tocca l’apice della perfezione nel rappresentare l’equilibrio instabile dell’italiano attraverso tre film: