Chiunque abbia già compiuto 25 anni ricorda esattamente dove si trovava l’11 settembre di quindi anni fa, cosa stava facendo e le telefonate che sicuramente avrà ricevuto o fatto partire dal proprio telefono.
Era il 2001, io stavo guardando la tv quando si interruppero i programmi: due aerei si schiantarono, uno dopo l’altro, contro il World Trade Center di New York. Ricordo il senso di incredulità, l’incapacità di realizzare con immediatezza se quella scena che sembrava il frutto della grande industria hollywoodiana potesse essere davvero reale, se quel fumo nero e le fiamme che avvolgevano quei due grattacieli simbolo di quello skyline visto e rivisto in decine di film o serie tv era la realtà o un effetto speciale.
Un’organizzazione terroristica, fino ad allora di terrorismo – soprattutto per quelli della mia generazione – si parlava poco e sempre al passato – aveva colpito la più grande democrazia del mondo, gli Stati Uniti d’America. I terroristi, si saprà dopo essere legati ad Al Quaeda, presi i comandi di quei Boeing li schiantavano con folle violenza non solo contro due grattacieli facendoli crollare uccidendo così migliaia di persone al loro interno ma anche contro le certezze di ognuno di noi.
Gli americani, li abbiamo sempre visti e percepiti come quelli che vincono: sono quelli che sbarcano in Sicilia e contribuiscono a liberarci dai nazifascisti, sono Rocky Balboa che contro ogni pronostico sconfigge la montagna di muscoli russa Ivàn Drago, sono quelli che vanno sulla Luna a piantarci la loro bandiera, sono il baluardo della democrazia e della libertà, sono la musica che ascoltiamo, la cultura pop con la quale siamo cresciuti. Di colpo abbiamo visto, in diretta televisiva, il gigante Americano colpito e indifeso.
L’11 settembre di quindici anni fa stava cambiando il mondo e tutto questo stava avvenendo davanti ai nostri occhi. Ci sono oltre tremila bambini americani che hanno perso almeno un genitore quel giorno. Sono i cosiddetti 9/11 Kids, c’è addirittura una generazione, quasi maggiorenne, che non ha mai conosciuto il mondo senza terrorismo. È incredibile ma è così.
Le stazioni dei treni di Madrid, Nassiriya, i bus e la metro di Londra, gli attentati in Nigeria, il Bataclàn di Parigi, Charlie Hebdò, Bruxelles, Susa, le banlieu, Nizza sono tutte figlie di quella drammatica giornata di quindici anni fa. Una scia di caos, condita da sangue e violenza in un mondo disordinato al quale occorre (ri)dare un ordine partendo da due ingredienti fondamentali: educazione e cultura.
Ma cosa è cambiato quindici anni fa? Siamo diventati vulnerabili nelle nostre abitudini quotidiane, i nostri sogni possono essere spezzati ovunque e da chiunque, le armi possono essere un treno, un aereo, un camion, un vagone della metropolitana. Abbiamo cominciato a guardare con sospetto al nostro vicino, a preoccuparci di chi non si veste come noi, ad individuare nemici. È cambiata la nostra idea di mondo.
Ma se è sbagliato, ed io ne sono convinto, dichiarare guerra al terrore, perché il terrore non lo sconfiggi con la guerra, la vera guerra al terrorismo di matrice islamica ci troviamo a combatterla, senza volerlo, giorno dopo giorno continuando a vivere, a viaggiare, a sognare, a sperare, come cantava John Lennon in quel meraviglioso inno che è “Imagine” ad un mondo unito in nome della pace nonostante qualcuno abbia ricominciato a costruire muri, a togliere opportunità invece che a darle.
Siamo la generazione del “per ora”, abbiamo abbandonato da tempo l’idea del “per sempre”, siamo quelli che prendono un volo dopo l’11 settembre e nonostante quell’11 settembre. Che raggiungono le grandi capitali europee nonostante gli attentati, che hanno imparato a convivere col terrorismo, nonostante lo pensavamo sepolto nei libri di storia.
Sono passati 15 anni, sono molti, anzi moltissimi, ad avere il loro 11 settembre, personale o collettivo, il terrorismo si è fatto globale ed ancora non siamo riusciti a superare quello che questa giornata ci ha fatto conoscere, anzi siamo ancora in pieno 11 settembre ogni volta increduli davanti alle immagini che ci arrivano da qualche parte del mondo ma sempre più motivati, come l’arcobaleno che spunta dopo ogni temporale, a sconfiggere il terrore con la voglia di vivere.