Homo sumDisabilità invisibili: quando l’ignoranza ferisce prima di uccidere

di Francesco Carini

Sii gentile, perché chiunque tu incontri sta combattendo una lotta più dura. Platone

Lo scorso maggio, la diciannovenne Aimee Rouski è passata alla cronaca per un gesto tanto forte quanto significativo. A quell’età le adolescenti dovrebbero solo divertirsi e pensare al loro futuro, mentre la ragazza britannica ha pubblicato sul suo profilo Facebook le cicatrici riprodotte sul suo corpo e la sacca dove vengono raccolte le feci in seguito all’ileostomia a cui si è dovuta sottoporre per le conseguenze del Morbo di Chron di cui soffre, descritto da alcune persone da lei conosciute come un banale mal di pancia.

É poco più di una bambina, ma quest’azione la rende una gigante, oltre che simbolo di quelli che possono essere definiti come “disabili invisibili”. In Italia ci sono stati purtroppo casi di falsi ciechi che alla fine guidavano pure, i quali hanno determinato un esborso molto importante in termini di prestazioni previdenziali, con delle conseguenze economiche che pesano sui bilanci.

Però, esistono purtroppo decine di patologie che non comportano menomazioni fisiche evidenti, ma rovinano la vita di chi ne è affetto e fra queste si possono citare: l’Epilessia, la Fibromialgia, la Sensibilità Chimica Multipla e l’Encefalite Mialgica, naturalmente differenti fra di loro, ma trattate finalmente con attenzione dai più importanti media sia su base nazionale che internazionale.

Considerati spesso alla stregua di esagerati e a volte simulatori, coloro i quali ne soffrono non solo vengono offesi in quanto pazienti, bensì come esseri umani, vedendo lesa la propria dignità sia in pubblico che in privato (evitando ovviamente generalizzazioni), tutto questo mentre, già 13 anni orsono, l’Istituto “Robert Koch” di Berlino definiva la qualità della vita dei malati di Sensibilità Chimica Multipla “inferiore” rispetto a chi è affetto da patologia cardiovascolare grave.

Escludendo le poche vicende a lieto fine, da quanto analizzato personalmente dalla storia di decine di intervistati da ogni parte d’Italia, sono riscontrabili tre macroaree di ciò che è assimilabile ad un grave maltrattamento:

1) quando il personale medico, non conoscendo la problematica, considera il malato quasi come un caso psichiatrico, che trova comunque appoggio in un nucleo familiare che crede profondamente in lui e fa di tutto per sostenerlo moralmente ed anche economicamente nella sua personale battaglia alla ricerca della diagnosi e della successiva guarigione;

2) quando si trovano medici specializzati e competenti in materia, che cercano assieme al paziente un adeguato piano terapeutico che possa portare al completo ristabilimento (molto difficile) o quantomeno ad un’attenuazione dei sintomi, ma la persona affetta da determinate patologie non immediatamente visibili (al contrario di disabilità fisiche evidenti) viene ostacolata, isolata e quasi non creduta nell’ambiente in cui vive, studia o lavora, subendo in tal modo un ulteriore contraccolpo psicologico oltre ai problemi fisici da cui è afflitto;

3) quando il paziente è “abbandonato” sia dalla classe medica che dalla gente che lo circonda, trovandosi di fronte ad una situazione tipicamente darwiniana (in senso lato) con “l’eliminazione del malato e del debole per garantire la sopravvivenza del forte”.

Queste persone, considerabili dei veri e propri guerrieri, si trovano a combattere una battaglia in solitudine o quasi, con un macigno addosso legato non solo alle sofferenze fisiche, bensì anche ad un senso di colpa connesso al fatto di non poter compiere più le attività abituali praticate fino a prima dell’insorgere di patologie spesso sconosciute, ma riscontrabili poi invece tramite controlli approfonditi in Italia e riconosciute in gran parte d’Europa e del mondo.

Come è stato descritto da uno studio londinese pubblicato sulla rivista The Lancet lo scorso febbraio, chi soffre della Sindrome da Fatica Cronica può avere maggiori tendenze suicide, dal momento che ci si trova di fronte ad una malattia fortemente invalidante (fortunatamente non caratterizzata dalla necessità della sedia a rotelle, simbolo della disabilità ma non certamente di tutti i tipi di invalidità).

Nel suo post, Aimee Rouski ha concluso incoraggiando i malati di gravi patologie non immediatamente “visibili”, puntualizzando che non c’è nulla di cui vergognarsi e di cercare appoggio fra le persone che amano maggiormente. Il problema riguarda chi è abbandonato o accusato da chi lo circonda (oltre che da colleghi o impiegati del settore pubblico e privato con cui l’ammalato si trova per forza di cose a vivere accanto per questioni professionali o personali, i quali, disconoscendo certe malattie, giudicano senza alcuna competenza, privi dell’empatia di cui dovrebbe essere provvisto un essere umano.

Le malattie dell’anima sono più pericolose e più numerose di quelle del corpo. Cicerone

Spesso il malato trova appoggio soltanto in delle associazioni di pazienti, pochi medici ed alcuni giornalisti che tengono a galla le speranze, i sogni ed anche il morale di persone ferite, con delle gravi conseguenze psicologiche che si aggiungono a situazioni già deteriorate sotto il profilo fisico, che a tal punto possono essere considerate autentiche vessazioni da denunciare, in quanto vanno a rovinare delle vite già spezzate con quelle definite da una giovane come: “continue angherie a bassa intensità“. Questa non è umanità, è bensì un reato in primis da prevenire negli ambienti in cui vivono ed agiscono questi sfortunti cittadini a fortissimo rischio di esclusione sociale, in modo da rendere la loro esistenza dignitosa.

La gentilezza dovrebbe diventare il modo naturale della vita, non l’eccezione. Buddha