Vanilla LatteTrump? Come Sanjaya di American Idol: divertente all’inizio, ma probabile sconfitto

Dal giorno dell'annuncio della sua candidatura alle primarie del Partito Repubblicano per la corsa alla presidenza, quel sedici giugno 2015 in cui ben pochi prestarono attenzione e ancor meno avreb...

Dal giorno dell’annuncio della sua candidatura alle primarie del Partito Repubblicano per la corsa alla presidenza, quel sedici giugno 2015 in cui ben pochi prestarono attenzione e ancor meno avrebbero scommesso anche solo un dollaro su di lui, fino a oggi, a circa due settimane dall’election day in cui il popolo americano andrà alle urne per decidere il prossimo inquilino della Casa Bianca, molto è stato detto e scritto su Donald J. Trump. Le sue chance di vincere le elezioni, in questo momento, sembrano diminuire di giorno in giorno, a causa del tracollo subito dalla sua campagna elettorale e dalle non esaltanti performance nei dibattiti e nei sondaggi. L’ipotesi “vittoria-a-valanga” per Hillary Clinton pare acquistare progressivamente peso, stando alla maggior parte delle previsioni.

A prescindere dall’esito del voto, l’impatto di Trump sulla politica a stelle e strisce è stato notevole e senza precedenti, un uragano dall’effetto dirompente che probabilmente sarà studiato negli anni a venire per la sua unicità. Perché senza dubbio, che piaccia o meno, si tratta, da più punti di vista – elettorale, politico, della comunicazione – di una delle novità più interessanti e singolari degli ultimi decenni. Fiumi di inchiostro sono stati versati su quello che appare come un fenomeno apparentemente inspiegabile, sull’improbabile ascesa di The Donald da candidato outsider e sfavorito alla nomination del GOP, da imprenditore/personaggio televisivo a figura politica e potenziale presidente della più potente nazione del globo terracqueo.

Eppure, a dispetto dei column degli editorialisti e degli esperti di tutto il mondo che per mesi si sono soffermati sul fenomeno-Trump, una delle analisi più lucide – e realistiche, alla luce della piega che sta prendendo la corsa per la successione di Barack Obama – appartiene a Pete Davidson, ed è stata pronunciata nei primi giorni di ottobre del 2015, oltre un anno fa. Nel caso qualcuno si chiedesse su quale testata scriva o per quale centro studi lavori Pete Davidson, la risposta è: Pete Davidson è un attore del Saturday Night Live, la storica trasmissione comica che da decenni va in onda ogni sabato sera sulla NBC (oggetto di critiche da parte dello stesso Trump, che pare non abbia apprezzato l’esilarante imitazione che gli ha riservato Alec Baldwin).

In un “Weekend Update” (il segmento delle notizie del SNL), Davidson, nella veste di rappresentante dei giovani americani disinteressati alla politica e all’attualità, disse la sua su Donald Trump, all’epoca front runner per le primarie repubblicane. E lo paragonò persino a Sanjaya Malakar, celebre ex concorrente di American Idol: “Quando Trump ha annunciato la sua discesa in campo, ho pensato fosse divertente. Ma questo è avvenuto quattro mesi fa, e ora sta vincendo. Non è più divertente!”, ha affermato. “Penso che l’America debba smetterla di fare le cose perché è divertente. Vi ricordate di Sanjaya? Aveva strani capelli e cantava da schifo. Ecco, le prime volte era divertente. Ma poi, uno dopo l’altro, tutti i preferiti della gente sono stati eliminati – e non è più stato divertente. Così siamo arrivati alle finali e…cosa diavolo ci faceva Sanjaya ancora lì? Così siamo dovuti andare a votare (per farlo perdere)”. Alla fine, il povero Sanjaya non vinse. E, se le proiezioni e i sondaggi sono affidabili, probabilmente lo stesso accadrà con Trump.

Nella sua semplicità, il ragionamento di Davidson non fa una piega. Per quanto il sistema americano, grazie al provato funzionamento dei “checks and balances” imposti dai padri fondatori, possa offrire determinate garanzie di tutela anche in presenza di candidati/presidenti con idee talvolta bizzarre e/o estreme, Donald Trump, dopo la sua scalata fino alla candidatura facendo leva sull’essere l’opposto del politicamente corretto e l’anti-establishment – una sorta di messaggio di anti-politica molto noto anche al di qua dell’oceano – ora, a primarie terminate, nel momento in cui avrebbe dovuto presentarsi come candidato credibile, affidabile e “presidenziale” agli Stati Uniti e al mondo, di fronte a Hillary e alla famigerata Clinton-machine ne è uscito con le ossa rotte. E gli americani se ne stanno accorgendo. Perché è vero che gli elettori hanno premiato un candidato di rottura nelle primarie – in parte travolgendo un Gop che mai come a questo giro aveva chance di successo – ma oggi sembrano sempre meno quelli disposti ad affidargli la guida di una nazione, incerti sulle sue idee e sui repentini cambi di posizione, oltre che sulle tante controversie che, nelle ultime settimane, sono emerse.

Insomma, all’inizio era divertente. Adesso, agli sgoccioli di una delle campagne elettorali più brutte e più prive di contenuti della storia del continente nordamericano, lo è un po’ meno – anche se in buona parte il fenomeno Trump non va sottovalutato e trascurato, ma studiato e analizzato, dal momento che è stato capace di intercettare molta della insoddisfazione degli elettori Usa. Alla vigilia del voto, entrano in gioco altri fattori, quali la competenza e le garanzie di affidabilità. Hillary Clinton può non essere il miglior candidato che l’America ha da offrire – anzi – ma si è tutti concordi nel ritenerla più competente e nell’offrire più garanzie di affidabilità dell’avversario. In più, elemento determinante: è l’unica alternativa. Ecco perché, nonostante tutto, molti la sceglieranno, magari turandosi il naso. Non perché è Hillary Clinton, ma perché non è Donald Trump.

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