Viareggio, 16 luglio 2017
Ricapitolo oggi una più che trentennale amicizia, possibile – anche con chi ha trent’anni di più – solo quando il valore della relazione tra diverse generazioni è parte di una cultura umana, civile e politica. Giovanni Pieraccini – nato a Viareggio il 25 novembre 1918 – non è arrivato per un soffio alla soglia del centenario, sceso dal tram della vita solo una fermata prima, a 99 anni. Lucido quasi fin all’ultimo, proteso sempre a fare, pensare, proporre, scrivere, attorno alle cose che lo hanno di più appassionato nella vita: la cultura, l’innovazione, l’Italia, il socialismo riformista, la Toscana, Viareggio e la Versilia, la qualità della classe dirigente.
Un recente comune viaggio della memoria
Ho raccolto di recente, in forma di dialogo, il suo ultimo viaggio della memoria[1]: dai banchi del liceo classico Carducci di Viareggio, negli anni trenta, con l’educazione alla libertà (malgrado il fascismo ormai consolidato) alle storie della seconda parte della sua vita in un rapporto coinvolgente con l’arte, la poesia, la musica e la letteratura. Attraversando l’esperienza della Scuola Normale di Pisa, il cui “Collegio Mussolini” era stato immaginato da Giovanni Gentile e Giuseppe Bottai per formare i dirigenti del fascismo trasformandosi in una scuola dell’antifascismo e preparando una certa gioventù agli anni della resistenza e della liberazione. Un viaggio nella memoria che ha l’epicentro a Firenze, nella fase di ricostruzione della democrazia. Tempo che coincide con il matrimonio con Vera Verdiani nel 1945 (durato 72 anni); con la nuova pratica della libera informazione (alla Nazione del Popolo) e, sotto la guida di Carlo Lodovico Ragghianti, capo del CLN della Toscana, con la svolta politica e amministrativa della città. Nel 1948 l’approdo in Parlamento e i successivi trenta anni nelle file socialiste, come deputato e senatore, direttore dell’Avanti! , quattro volte ministro e soprattutto tra i principali negoziatori del primo centrosinistra.
L’ architettura di una politica delle riforme possibili ha riguardato i cambiamenti intervenuti negli anni sessanta. E nel suo caso anche delle riforme “impossibili”, quali furono quella dell’urbanistica e quella della programmazione economica, ambiti di competenze ministeriali ma anche di scontro duro con gli interessi conservatori del Paese.
Nel 1983 il ritiro della politica attiva, nel senso della “politica della rappresentanza“, senza smettere di pensarla, proporla, discuterla. Ma dedicandosi per molti anni alle sorti della compagnia assicurativa pubblica Assitalia (portandola alla quotazione in borsa e al ruolo di mecenate nello sport e nella cultura) e poi dedicandosi a Roma e in Toscana a tanti progetti di riqualificazione e rilancio della cultura e dell’arte, con un intenso rapporto con il mondo degli artisti e degli intellettuali.
In quel libro – come credo anche nella sua vita – la vicenda più complessa e interessante ha riguardato la partecipazione stretta al negoziato (non solo tra socialisti e democristiani allora guidati da Amintore Fanfani, ma anche con chi esprimeva perplessità e resistenze, la Chiesa e gli americani da un lato, il Partito Comunista e la CGIL dall’altra parte) per la formazione del primo centrosinistra (guidato da Aldo Moro). Emerge con evidenza la visione di smarcare l’Italia, nella prima parte degli anni ’60, dalle rigidità della guerra fredda creando un esempio nel mondo di ricomposizione politica centrata su una modernizzazione sostenuta da rappresentanze politiche popolari.
Il congedo alla Galleria di Arte contemporanea di Viareggio
Siamo riuniti alla Galleria di arte contemporanea di Viareggio – al quale Vera e Giovanni Pieraccini hanno donato l’intera loro collezione di arte (2300 pezzi di grafica, pittura e scultura che costituisce l’ossatura del patrimonio stesso del museo intitolato a Lorenzo Viani) – per un congedo che la città ha voluto in forma pubblica, con amici e interlocutori di tanti suoi progetti (tra cui la Fondazione Roma-Europa, la Fondazione Turati, la Scuola di S. Anna di Pisa, lo stesso Museo viareggino). Tutti sorpresi, malgrado l’evidenza biologica dell’evento, che il torrentizio dinamismo di Giovanni si sia arrestato, con il suo spronare comuni e sindaci a reinvestire sul patrimonio culturale e identitario e con il suo indagare il nuovo per sgridare le inadeguatezze della politica attuale.
Dal 2011 Giovanni Pieraccini ha continuato a interrogarmi sulle sorti di Milano, sapendo la possibile influenza per l’Italia di un verso “davvero cambiato” di quella città. Un po’ sperando è un po’ diffidando. Ma progressivamente addolorato per la crisi italiana, a suo avviso innescata dallo stravolgimento impresso da Berlusconi e dalla cosiddetta “seconda Repubblica”, in una Italia in cui comunque riconosceva tratti di reattività (non c’era segnale di novità – compresi i libri di Grillo e Casaleggio – del cui contenuto non si sincerasse di persona, non per sentito dire) che però considerava non adeguatamente sostenuti da formazione culturale e visione delle scelte strategiche da parte del ceto politico formatosi negli ultimi anni, Matteo Renzi compreso, per il quale una iniziale simpatia (anche per pregiudiziale positiva toscana) si era trasformata in delusione.
Vittorio Emiliani ha così concluso il ricordo pubblicato dal quotidiano “Il Tirreno”: “Ha continuato a fornire concreta testimonianza di quell’idea, di quell’esperienza socialista sulla quale si è invece accanita in Italia, con grave danno per tutto il Paese, un’autentica damnatio memoriae alla quale Giovanni si è sempre coraggiosamente opposto. Coi fatti, con gli scritti e con gli esempi. Come il Sor Ribelle del 1944“.
Valdo Spini, fiorentino già parlamentare e ministro socialista, nel corso della cerimonia di congedo introdotta dal sindaco di Viareggio Giorgio Del Ghingaro, ha colto così il punto focale di una storia di coerenze: “Se fossero state portate a termine le riforme immaginate da quella classe dirigente di cui Pieraccini era parte, l’Italia avrebbe un diverso presente. Ma furono battaglie impari e troppe forze contrarie. Oggi tuttavia quella storia resta decisiva perché simbolica e spronante”.
E lo stesso Giovanni Pieraccini, affrontando nel nostro dialogo il futuro, alla domanda “Come vuoi essere ricordato?”, ha dato (correggendo lui stesso più volte verso la fine del 2016 il contenuto in bozze) questa articolata risposta: “La radicale transizione, da un’epoca ad un’altra, che stiamo vivendo va verso il crescente rilievo della dimensione scientifico-tecnologica, informatica e robotica. Dimensione che esige una struttura nuova degli Stati, richiede istituzioni nuove al posto di quelle ormai obsolete che abbiamo. La mia vita è certamente ricca di ricordi ma anche di problemi aperti. Ma il passaggio che stiamo vivendo lo ritengo è inesorabile. Per questo ho anche chiara la coscienza della nostra fragilità, cioè che ciò che abbiamo fatto è destinato in larga parte all’oblio e quindi al silenzio. Spero che quei pochi che mi ricorderanno possano ricordare un uomo normale, con i suoi pregi e i suoi difetti, ma dotato di un senso di solidarietà verso gli altri e che ha creduto, fin dai tempi lontani qui evocati del vecchio liceo viareggino, in due valori non transeunti: la giustizia e la libertà”.
[1] Giovanni Pieraccini, Stefano Rolando – L’insufficienza riformatrice – Abbiamo fatto, ma dovevamo fare di più – prefazione di Sabino Cassese – Pezzini editore (Viareggio), 2017.