Alessio Mazzucco
Carlo Asta è uno di quei giovani sorridenti che in questi giorni vi stanno chiedendo le firme per potersi presentare alle elezioni europee sotto una bandiera viola. Avete capito di chi si tratta (e se non l’avete capito, lo dico io): Volt. E’ coordinatore del gruppo a Milano, e ho deciso di farmi una chiacchierata con lui sulle sue idee di politica e di futuro.
La prima volta che abbiamo chiacchierato di Volt mi hai parlato di una nuova stagione delle idee, per alcuni parole abusate, e ho molto apprezzato. Quali sono le principali idee su cui ti muoveresti? Quali i concetti di cui vorresti rendere Volt un portavoce?
Ci troviamo di fronte a una virata epocale del percorso storico: crisi della globalizzazione, cambiamento climatico, migrazioni sono i grandi temi interconnessi alla base dello sconvolgimento politico dell’occidente. Ci sono oggi le basi per iniziare un percorso politico e culturale per la creazione di nuove ideologie, che reputo un’opportunità storica epocale. I tre principali concetti da cui partire a mio avviso sono: politica europea transnazionale, lotta al cambiamento climatico, ridefinizione delle politiche di welfare e lavoro in Europa.
Come figli dell’ordine democratico-liberale, l’individuo è per noi sacro. A mio avviso, il concetto di individuo come lo conosciamo sta lentamente lasciando il posto a una nuova collettività sotto il nome di popolo: come Voltiano, credi nell’individuo o nella collettività? Pensi che il liberalismo sia un’idea ancora giovane, fresca, o sia necessario trovare nuove parole per descrivere il rapporto tra uomo e comunità?
Non credo che possano esistere individui senza comunità e comunità senza individui. Questo è un tema anche esistenziale che mi pongo spesso: vengo da un piccolo paesino di provincia dove il senso di comunità era forte e radicato mentre adeso vivo a Milano da individuo dove a fatica conosco il nome del mio dirimpettaio. Non mi piace l’idea di popolo ovvero una massa informe e senza volto che comprende tutti o nessuno. Mi piacciono molto invece le comunità, ovvero un insieme di persone legate da idee, condizioni, obiettivi. Credo che le organizzazioni politiche debbano ripartire oggi dalle comunità esistenti e formarne di nuove. Il liberalismo forse si è un po’ incagliato su una visione economicistica e deterministica degli individui. Bisogna recuperare la dimensione dell’individuo all’interno della comunità e aggiungere livelli di complessità ulteriori come la dimensione storica, sociale e culturale. Di Adam Smith piuttosto che La ricchezza delle nazioni dovremmo andarci a rileggere La teoria dei sentimenti morali.
Volt crede in una grande federazione europea, e ci credo anche io. Pensi che l’Europa, per esistere, debba re-immaginare il rapporto tra stato e cittadino? Su quali basi?
Più che l’Europa questa è una domanda che devono farsi gli Europei. Non credo che un qualsiasi orizzonte federalista possa essere raggiunto con accordi presi a Bruxelles e spero anche che, visti i tempi, nessun eurocrate la pensi così. La federazione europea, se ci sarà, dovrà germogliare in un terreno politico e sociale favorevole. Il senso stesso di Volt, è quello di provare a fare politica a livello europeo e quello che ci auspichiamo è che nascano più partiti come il nostro, anche con idee diverse, ma che abbiano una dimensione europea. Prima la politica, poi le istituzioni.
Cambiare l’Europa vuol dire anche sporcarsi le mani a livello Nazionale, anzi soprattutto a livello Nazionale: come coniugate la struttura paneuropea con le esigenze nazionali (soprattutto quelle più contrastanti come spesa pubblica, migranti, lavoro)?
Ci sono alcuni problemi che si risolvono in sede europea, altri in sede nazionale, altri ancora che sono regionali o comunali. La nostra organizzazione esiste su tutti e tre i livelli. I valori e le proposte politiche generali vengono prima definite a livello europeo: questo è un perimetro vincolante per gli altri livelli. Da lì poi si declinano in ogni paese proposte politiche su temi di dominio nazionale come spesa pubblica e lavoro che dovranno muoversi all’interno del perimetro definito a livello europeo. Questo ci permette di mantenere discrezione per le peculiarità e diverse esigenze nazionali all’interno di un orizzonte comune europeo. Sembra logico ma è esattamente l’inverso di quello che accade oggi con i partiti che antepongono le esigenze nazionali a quelle europee.
Nella percezione di chi vi segue, c’è un po’ la sensazione che al momento Volt rappresenti entusiasmo puro, ma contenuti ancora vaghi. Sottolineo che per vaghi non intendo vuoti, ma semplicemente non ancora strutturati su una base chiara di idee di riferimento e finalità più prettamente politiche. Come immagini il passaggio di Volt dall’entusiasmo a una forza propositrice di un pacchetto di idee da presentare in un’arena politica?
Capisco la sensazione di vaghezza ma credo che questo sia dovuto alla dimensione ancora europea delle nostre proposte. I nostri documenti principali, Mapping of Policies e Amsterdam Declaration, sono stati elaborati a livello europeo e sono il prodotto di una sintesi rispetto alle esigenze e sentimenti di 30 paesi. Quello che può sembrare vago da una prospettiva nazionale è invece molto più specifico da una prospettiva europea, per il semplice fatto che nessun partito ha un programma politico europeo: ancora oggi le campagne elettorali europee si fanno su temi nazionali. Nella definizione delle politiche nazionali di Volt Italia, che è in corso, questo senso di vaghezza verrà diramato.
Di quanto detto finora, pensi che ai nostri coetanei (e ai più giovani) interessi qualcosa?
Poco, se non niente. La maggior parte dei ragazzi intorno ai 30 anni come me non ha nessuna velleità, voglia di riscatto o di lottare. Banalmente: io non conosco una persona della mia generazione che abbiamo mai fatto uno sciopero. Non si combatte più, ci si rassegna a lavori malpagati, poco soddisfacenti e con orari massacranti. Ma soprattutto si dà per scontato che questa sia una situazione normale e ci si fa l’abitudine. Non è la politica che si è dimenticata di noi ma siamo noi ad esserci dimenticati della politica. Questa è anche la ragione del mio impegno: se non lottiamo non possiamo in alcun modo lamentarci, niente ci sarà concesso se non ce lo prendiamo.
Diventi Ministro del Lavoro domani: qual è la prima riforma che metti in piedi?
Non è certo il mio compito e ci sono persone che in Volt si stanno occupando della definizione del programma nazionale. Quello che ti posso dire è che dal mio punto di vista l’elefante nella stanza del mercato del lavoro italiano è la sistematica e pervasiva sotto-retribuzione dei lavoratori che hanno meno di 30-35 anni. Su tutti i livelli, da chi lavora in banca all’operaio. È una condizione unica e disastrosa, siamo agli ultimi posti in Europa per retribuzione a 5 anni dalla laurea e abbiamo milioni di persone che lavorano e contemporaneamente si trovano in una condizione di povertà. La prima riforma da mettere in piedi è un taglio immediato e significativo del cuneo fiscale per dare ossigeno a tutti quei milioni di giovani che ad oggi arrivano a fine mese solo grazie agli aiuti di nonni e genitori. Al contempo devono essere creati strumenti di tutela equi e non vincolati a particolari tipologie contrattuali.