Cristina Saluta
Bernard-Henry Lévy, filosofo militante francese, debutta martedì 5 marzo al Teatro Parenti di Milano con la prima tappa del suo spettacolo di sostegno alla campagna elettorale europeista in vista delle prossime elezioni per l’Europarlamento previste in data 26 maggio La tournée di Levy parte quindi da Milano il giorno dell’anniversario della fondazione del partito Nazionale Fascista Italiano e verrà messa in scena nelle successive settimane in altre 15 città europee. Come ricorda nella sua introduzione l’archi-star milanese Stefano Boeri, le città giocano un ruolo importante: non sono un semplice conglomerato urbano ma un luogo di aggregazione di idee e progetti, affondano radici profonde nelle agorà dell’Antica Grecia e saranno il punto di ripartenza di questa Europa. Un’Europa che supera il concetto di “Stati Uniti d’Europa”, come suggerito da W. Churchill, e diventa forse l’“Europa dei Comuni” come ipotizzato da altri più recentemente.
Bernard Levy interpreta se stesso, chiuso in una camera d’albergo a Sarajevo, alle prese con la stesura di un discorso per sostenere l’Europa contemporanea ferita dagli attacchi del populismo. Sullo sfondo della città dove si è combattuta la prima “Guerra Europea” dopo la seconda guerra mondiale, Levy si scontra con i fantasmi di un’Europa tormentata e contorta ritrovandosi più volte sul procinto di abbandonare l’opera. A sostegno dell’impresa dell’intellettuale, vengono in suo soccorso alcuni grandi volti dell’Europa che Bernard Levy ci invita a ritrovare e tenere vivi con rispetto nella nostra memoria. Sono volti importanti quelli di Dante Alighieri, Stendhal, Edmund Husserl, Simone Veil, e molti altri. Nomi che tuttavia vengono evocati ma non descritti allo spettatore restando intrappolati in una serie di riferimenti e citazioni troppe volte elencate e non raccontate, come se Levy fosse troppo concentrato sulla sua costruzione intellettuale e non guidato dall’amor di comunicazione con il suo pubblico o dalla passione per l’ideale liberale europeo.
L’Europa di Bernard Levy è quella degli Antichi Greci e dei loro miti, dei Palazzi Rinascimentali e dei dipinti di Raffaello, dei canali del Tintoretto e delle vestigia romane. Un luogo sacro di cultura, arte e religione. Nel racconto europeista di Levy non trapela, tuttavia, lo slancio per gli ideali di libertà, uguaglianza e solidarietà che ispirano i rapporti economici e interpersonali degli europei di oggi e che sono il nostro vero fattore distintivo. Forse un eccesso di tolleranza, ci impedisce oggi, se non di imporre, di affermare con forza la nostra identità europea proclamondola con fierezza e con senso patriottico. Forse il populismo da cui siamo circondati e che avanza con imponenza, risponde al bisogno delle persone di ritrovare ispirazione, rilevanza e significato. Il populismo ha certamente una componente di semplificazione e rassicurazione ma ha anche un linguaggio diretto che parla alle emozioni e parla di azione. Levy sfiora il timore che forse queste Europa soccomberà, per suo colmo, per un eccesso di apertura ma fallisce nell’affermare con coraggio gli ideali che ci fanno “Sentire Europei” e rimane fermo su un senso di attaccamento all’Europa estetico, intellettuale e spesso compiaciuto del passato, raccontando la bellezza di certe passeggiate romantiche per le vie di Roma o di un bacio interminabile sotto il Duomo di Milano. Non ho trovato nel monologo di Levy la bellezza dell’Europa di oggi, la bellezza dell’Europa malgrado tutto, la grinta ed il coraggio di sentirsi Europei perché essere Europa è bello. A volte bisogna ammettere che si è diversi, voler essere diversi senza che questo implichi per forza essere meglio di qualcun altro.
Il pubblico in sala era di eccezione, Matteo Renzi, Mario Monti, il sindaco della città Giuseppe Sala, Philippe Daviero e il direttore della Stampa Maurizio Molinari che ha anche dedicato sul suo quotidiano un approfondimento allo spettacolo. Tutti erano presenti in sala per un tributo all’autore. Il teatro Parenti era pieno ed è stato necessario allestire al di fuori dalla sala un foyer con schermo televisore. La sensazione che ho avuto è che il pubblico fosse lusingato dalla capacità di cogliere le sfumature filosofiche e i numerosi riferimenti all’attualità internazionale e ai grandi personaggi del passato. Compiaciuto da un’estetica decadente e dell’essere parte di un passato glorioso di cui noi Europei siamo fieri e in cui affondiamo radici salde e preziose. Non ho visto tuttavia la voglia di sentirsi Europei OGGI.