MillennialsQuattro funerali per un battesimo: l’Italia nel 2019

Di: Leonardo Stiz La Sea Watch, i migranti, il reddito di cittadinanza, Alitalia, le autostrade, la guerra all’UE e tanto altro ancora che riempie le bocche dei politici. Nel frattempo, alcuni p...

Di: Leonardo Stiz

La Sea Watch, i migranti, il reddito di cittadinanza, Alitalia, le autostrade, la guerra all’UE e tanto altro ancora che riempie le bocche dei politici. Nel frattempo, alcuni problemi davvero urgenti scivolano via inosservati.

Uno di questi sta nel fatto che, per la prima volta in quasi un secolo, l’Italia si trova in calo demografico. La popolazione è diminuita, e neanche di poco: l’Istat ha certificato che dal 2015 a fine 2018 ci sono 677 mila italiani in meno, come se tutta Palermo sparisse nel giro di 4 anni. Solo nell’ultimo anno, l’Italia ha perso 235 mila cittadini. Non finisce qui, perché il calo è dovuto esclusivamente alla popolazione italiana ed è stato frenato dagli stranieri. Negli ultimi 4 anni hanno acquisito la cittadinanza in circa 638 mila, senza i quali il calo avrebbe superato di gran lunga il milione di persone. Solo l’aumento dei residenti stranieri (non cittadini) è poi riuscito a tamponare la situazione: contando anche questi (e non stiamo parlando degli immigrati dalla Libia), rispetto all’ultimo anno ci sono 124 mila persone in meno.

Il motivo è tutto strutturale: in Italia il “saldo naturale” è negativo, ossia muoiono più persone di quelle che nascono. L’Istat calcola infatti che nel 2018 la differenza tra nuovi nati e deceduti è pari a -193 mila. Ciò non è dovuto all’aumento dei decessi (che in realtà sono diminuiti), ma da una diminuzione ancora più massiccia delle nascite. Secondo l’Istat, se nel 1946 ogni donna aveva, in media, circa 3 figli, oggi il numero si è più che dimezzato, fino ad arrivare a meno di 1,4. Ben al di sotto dei circa 2 figli che servirebbero per garantire la continuità della popolazione. Non siamo soli su questa via, che accomuna in realtà gran parte delle economie mature: in Europa si prevede un calo della popolazione complessiva per il 2050, mentre il tasso di filiazione è di circa 1,6, anch’esso in costante calo, sebbene negli anni duemila tale decrescita abbia rallentato. L’Italia rimane comunque il paese con l’età media più elevata dell’Unione europea, ed è seconda al mondo per popolazione over 65 rispetto al totale.

I risultati iniziano a palesarsi davanti ai nostri occhi e, purtroppo, non ci sono molte ragioni per credere che questo calo demografico, data la sua natura strutturale, si fermerà presto. La situazione però è grave: la fascia anziana della popolazione aumenta, così come la sua aspettativa di vita, mentre la fetta di giovani che dovrebbe garantire il ricambio si assottiglia sempre di più. La società italiana si è trasformata in una piramide rovesciata: una fascia, in alto, composta dalle generazioni più anziane che si ingrandisce e che poggia su una punta, indebolita, che farà sempre più fatica a reggere il peso.

In una società sana dovrebbero esserci più giovani per ogni persona che diventa anziana. Questo perché, ed è normale, gli anziani costano di più allo Stato, specialmente in termini di pensioni e di welfare (spese sanitarie, assistenza e così via). Ma il problema non sussiste se, a controbilanciare il costo dell’invecchiamento delle generazioni, le nascite si mantengono sufficientemente elevate per garantire un numero adeguato di persone che, nel futuro, potranno lavorare e contribuire, attraverso le tasse e i contributi, a mantenere tale spesa. Se, invece, le nascite non riescono a tenere il passo, viene a mancare la fonte di sostegno.

I risultati ci sono già: lo Stato deve fare debito per potersi permettere una popolazione sempre più invecchiata. E deve prelevare più risorse dai giovani e dai lavoratori se questi, col passare del tempo, diminuiscono di numero. La situazione italiana rispecchia tutto ciò: i contributi pensionistici, in proporzione al reddito, sono aumentati nel corso degli anni, così come il cuneo fiscale. E se continua così, i giovani in futuro si troveranno a pagare ancora di più.

Rovesciare la piramide è una ricetta essenziale per la ripresa del sistema Paese e dell’economia, che guarda caso non gode di ottima salute: più nascite significa più giovani, più forza lavoro nel futuro, più risorse, e dunque meno tasse saranno necessarie (pro capite) e si potranno abbassare. Si potrà ridurre il debito, sbloccando risorse per investimenti produttivi, che oggi ci mancano, e per investimenti sui giovani. Senza tutto ciò, in assenza di entrate sufficienti, bisognerà andare a mettere le mani sulla spesa. A questo punto, togliere risorse alle pensioni e al welfare diventerà l’unica opzione possibile.

L’economia cresce se alla base c’è una società sana. In Italia però, da molto tempo, non si sente parlare di politiche demografiche e di investimento sulle giovani generazioni. Eppure non mancano alcuni esempi virtuosi di politiche a sostegno della natalità, da cui si può prendere ispirazione, specialmente nel nord Europa: un mix di strumenti che va dagli investimenti sugli asili nido all’uso dei congedi parentali, fino a misure fiscali vantaggiose per le giovani famiglie e le rette universitarie agevolate. La nostra però è l’immagine di un Paese che lentamente muore, abbandonato dalla propria politica che fa fatica a vedere tanto oltre il proprio naso e che, nel rincorrere l’attenzione degli elettori a suon di effetti speciali, perde di vista i dati importanti.

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