Di: Rocco Steffenoni
Il Tesoro ci dà l’occasione di discutere di lavoro, opportunità, giovani e concorrenza: tutto in una volta. Con questo articolo si intende difendere la tanto criticata idea del Ministero del Tesoro di indire un bando per «avvalersi per un supporto tecnico a elevato contenuto specialistico nelle materie di competenza della consulenza a titolo gratuito di professionalità altamente qualificate». Sì, proprio “a gratis”.
Tradotto: se hai più di 5 anni di consolidata esperienza accademica e/o professionale in alcuni specifici settori del diritto puoi inviare una manifestazione di interesse per essere inserito in un database di potenziali consulenti (gratuiti, si sa). A quel punto, se tutto va bene, un giorno qualsiasi puoi ricevere una chiamata da un numero che inizia con 06 che ti offre di stipulare un incarico individuale, a seguito dei controlli di rito (insussistenza di cause incompatibilità e/o conflitti di interesse). Da questo incarico tra l’altro si può sempre recedere, con un preavviso di 30 giorni.
Ora, ci immaginiamo la scena del dirigente che autorizza la pubblicazione di questo avviso sul sito del Tesoro: si poteva immaginare la tempesta che stava per crearsi? Cosa sperava di ottenere dopo tutto? Di certo non si immaginava di ricevere una lettera da parte di Luigi di Maio, in qualità di Ministro del Lavoro, chiedendo di ritirare il bando.
Veniamo alla tempesta. Sono già passati dieci giorni dalla pubblicazione. Nelle chat impazza il link al bando, seguito da emoticon sprezzanti e commenti velenosi. Altri ammiccano, invece, alla possibilità di farci pure domanda, dopotutto «è sempre un’opportunità». Segue l’immagine surreale dei “crumiri” in giacca e cravatta impegnati a mandare la pec al Tesoro. Si alza il polverone. Il ping-pong arriva fino agli ordini professionali.
Dopo dieci giorni di assedio, il Tesoro fa uscire un comunicato stampa con cui chiarisce che il bando «non costituisce un’opportunità lavorativa». Il tutto seguito da una motivazione piuttosto convincente. Quando però la notizia arriva sul tavolo del Comitato Permanente #NoiProfessionisti, composto da vari rappresentanti delle professioni (avvocati, ingegneri…), si decide di impugnare subito il bando davanti al Tar Lazio, in quanto ritenuto «lesivo della dignità della professione ed in contrasto con i principi enunciati nella normativa sull’Equo Compenso, cui anche le pubbliche amministrazioni devono attenersi nel conferimento degli incarichi professionali». Lo stesso fanno i Consigli dell’Ordine degli Avvocati di Roma e di Napoli. L’udienza di discussione è fissata per il prossimo 10 luglio.
Tanto rumore. Torniamo al nodo della questione. Il Tesoro si difende nel proprio comunicato con almeno quattro argomenti: i) l’invito è rivolto a personalità affermate; ii) ci si aspetta che questi soggetti provengano principalmente dal mondo accademico; ii) l’attività consiste nell’offrire la propria esperienza per «soluzioni tecniche in materie molto complesse». Il punto più significativo, ai nostri fini, è però il quarto: secondo il Tesoro, infatti, «forme di collaborazione gratuita di questo genere sono diffuse in molte Pubbliche Amministrazioni. La novità sta quindi solamente nella pubblicità introdotta nella procedura, per esigenze di trasparenza e comparazione». La vera novità non è tanto, quindi, nel contenuto ma nella sua trasparenza. Peccato che proprio in ragione della sua trasparenza, lo stesso sia stato impugnato al Tar!
Giovani o no. Tralasciando alcuni spunti sull’evolversi del concetto di “onerosità” di una prestazione (si pensi – ad esempio – all’importanza riconosciuta all’effetto promozionale esterno o anche alla pacifica legittimità dei contratti di sponsorizzazione nella Pubblica Amministrazione), da questa vicenda emerge soprattutto il tema della concorrenza, anche intergenerazionale, nella parità di accesso non solo alle opportunità, ma anche al prestigio che alcune esperienze arrecano al profilo di ciascun professionista. Il tutto a turn-over bloccati e in presenza di concorsi scarsi, lunghi (e bizantini). Il rischio che si intravede, quindi, è che attaccando questo bando, magari pure con dei buoni principi, si possano ottenere molte – troppe – conseguenze inattese.
Le buone ragioni sono quelle del rispetto del lavoro e della dignità professionale (cui necessariamente la retribuzione è collegata). A riguardo c’è poco da dire: sono sacrosanti principi e dovrebbero valere per ogni lavoro e lavoratore, e certo non solo per quelli legati ad ordini professionali, cui il non poco celato antagonismo nei confronti della liberalizzazione delle tariffe sembra ammiccare. Le conseguenze inattese poi valgono sia per l’Amministrazione, che per l’evidente stato precario delle finanze pubbliche si dovrebbe privare di apprezzabili consulenze, sia per i professionisti, spesso giovani, che non hanno avuto (ancora) la possibilità di farsi conoscere in un mercato, come quello delle prestazioni professionali, caratterizzato da altissimi costi all’entrata e da scarsa pubblicità-trasparenza nella committenza pubblica.
C’è poi un aspetto che rende questa vicenda ugualmente significativa. E va oltre il nazionalismo e il patriottismo. Si tratta, infatti, di affermare che non sempre la Pubblica Amministrazione costituisce un mercato, ma talvolta, in presenza di particolari circostanze e attività, essa deve – e può – richiedere assistenza al pubblico. A maggior ragione se la richiesta viene resa a categorie che – in alcuni casi – già percepiscono una retribuzione pubblica per attività di ricerca, come gli accademici. E più in generale secondo uno spirito di give back dei privati verso la collettività, in ragione di quanto di buono si è ottenuto anche grazie ad essa. In questi casi, come sembra echeggiare anche il comunicato stampa del Tesoro, il riferimento all’equo compenso, che fonda la sua storia nello scontro tra professioni e maxi-aziende private, è fuorviante e capzioso.
Dunque. Benché non si comprenda la ragione per cui gli stessi ricorrenti (comitati e istituzionali) non abbiano impugnato – ad esempio – anche i bandi “gratuiti” del MiSE (sull’intelligenza artificiale e sulla tecnologia blockchain) dello scorso autunno, il tema di fondo rimane la necessità di trovare un bilanciamento, specie per i giovani, tra retribuzione, formazione e visibilità. Sperando che non si tratti – come sembrerebbe – di un famigerato trilemma: nel quale si può sempre e solo scegliere due opzioni.