di Francesco Carini – Homo Sum
Sasà: Ci stanno i cani e ci stanno i padroni. Tu che vo’ fa’? U cane o u padrone?
Giancarlo Siani: Nessuno dei due… Io voglio fare il giornalista
Sasà: […] E magari vuoi fare pure il giornalista giornalista. Perché anche qua ci stanno due categorie… Ci stanno i giornalisti giornalisti e i giornalisti impiegati
Dialogo fra Sasà (Ernesto Mahieux) e Giancarlo Siani (Libero de Renzo), tratto da Fortapàsc, di Marco Risi, 2009
Per qualunque ragazzo/a che si approccia al giornalismo, non al gossip, Giancarlo Siani dovrebbe rappresentare il simbolo dell’attività impegnata che ha sacrificato la sua vita per raccontare la verità. Le sue inchieste si svilupparono nel territorio compreso fra Torre Annunziata e Napoli, ma la tecnica e la passione che lo animavano vanno aldilà dei confini regionali, facendo di lui un professionista di razza (a prescindere dall’inquadramento contrattuale, che ovviamente non costituisce l’essenza del giornalista).
Lo scorso maggio ho citato dei dialoghi tratti da I cento passi, in occasione dell’anniversario dell’omicidio di Peppino Impastato, e vorrei riproporre lo stesso “format” ogni qualvolta un film, conciliando fiction e realtà, riesce nell’obiettivo non solo di raccontare la storia di una vittima della criminalità organizzata, quanto in quello di descrivere la realtà in cui gli eventi si sono sviluppati e Fortapàsc di Marco Risi (con sceneggiatura dello stesso regista e autori quali Andrea Purgatori) rappresenta un bel prodotto del cinema italiano. Nel caso di Siani, interpretato sullo schermo da un bravissimo Libero de Rienzo, non soltanto le inchieste sul clan Gionta, ma gli articoli incentrati sui rapporti fra camorra e politica, hanno verosimilmente decretato la sua fama ma anche la sua condanna a morte.