MillennialsNon ci resta che ridere

Giovedì sera tornavo a casa verso mezzanotte, mezzo sbronzo, pensando al piacere sottile di non dover mettere la sveglia venerdì mattina. Con un simile approccio poco cool guardavo torme di giovani...

Giovedì sera tornavo a casa verso mezzanotte, mezzo sbronzo, pensando al piacere sottile di non dover mettere la sveglia venerdì mattina. Con un simile approccio poco cool guardavo torme di giovani ragazze e ragazzi travestiti in modi più o meno orrorifici, e pensavo dentro di me che se bastava disegnarsi in faccia due tratti bianco-neri per divertirsi, occorreva essere un po’ sempliciotti. Di tanto inutile snobismo ho trovato conferma sullo specchio dei tempi, Facebook, dove molti contatti ci tenevano a chiarire il mancato supporto a una festa ritenuta aliena, straniera, imposta.

Venerdì sera con un amico abbiamo parlato delle condizioni del suo lavoro: enorme stress, molte responsabilità, stipendio decente ma non proporzionale ai rischi. Sostanzialmente, si trova a sopperire alla scarsa produttività di colleghi più anziani, agli errori strepitosi di manager ben pagati e per lo più attenti solo a soddisfare l’ego dei superiori. Allargando il campo, non è il primo a dirmi cose simili, di insoddisfazione sono piene le serate tra amici. La generazione dei millennials si trova a reggere ormai buona parte dell’economia, perché vicini ai 40 anni si è sovente in quella posizione mediana, non ancora capi (troppo giovani) ma molto operativi, e sufficientemente esperti per capire gli errori di chi è sopra di noi.

A 40 anni mio padre lavorava già da quasi venti, era un manager, l’economia cresceva alla grande e c’era ottimismo. A me non capiterà, e con un po’ di sana statistica possiamo metterci finalmente il cuore in pace per molte cose. Siamo dalla parte decadente del mondo, non nascono più bambini, il PIL è inchiodato, la politica si dirige ad ampi passi verso un nuovo fascismo, magari meno violento, ma ugualmente stupido, e siamo 7 miliardi nel mondo. Le forze della storia sono enormi e non sono sotto il nostro controllo. Se vogliamo rendere tutto più fosco possiamo pensare all’impatto che l’Intelligenza Artificiale avrà sul lavoro, alle milioni di persone che si sentiranno tagliate fuori dal Sistema, perché oramai troppo complesso, e vivranno l’ansia e l’esclusione che oggi vivono i nostri anziani.

Difficilmente qualcuno di noi avrà modo di incidere nella vita del proprio Paese, realizzare i propri desideri, a meno di non partire per paesi in crescita, ne esistono ancora parecchi, soprattutto se non siete interessati alla democrazia e alla giustizia sociale, e al massimo ci acconteremo dei 15 minuti di notorietà che un artista – e non è un caso – aveva previsto per noi.

Che cosa ci rimane? Poco, piccole cose, o forse non così piccole. Vogliamo davvero perdere anche quelle? Penso che il sentimento che ci descriva meglio sia la frustrazione – e ha basi oggettive, come ho sopra mostrato. Un sentimento che ci fa essere rabbiosi, ma non in modo positivo: perché abbiamo scarse speranze e siamo logorati. Un sentimento che ci fa essere scarsamente socievoli, perché riteniamo di subire gli errori altrui, e non è facile localizzare chi li ha commessi. E ci ritroviamo a prendercela con chi cerca una qualunque forma di evasione, che magari non comprendiamo. Secondo me è ora di smetterla di essere stronzi tra noi giovani. Buona parte dei ragazzini che ho incontrato travestiti l’altra sera saranno stati studenti, qualcuno già lavoratore sottopagato. Tra qualche anno entreranno nel turbine della frustrazione, lasciamogli godere ogni opportunità di svago. E’ il caso di essere più tolleranti, e imparare a esserlo anche con noi stessi. Magari vivendo con meno aspettative. Inutile farsi rovinare da capi che non ci valorizzano, aziende gerontocratiche, carriere assolutamente impreviste rispetto ai piani in adolescenza. E se non si è nati da genitori ricchi, inutile ambire a fare una progressione sociale. Non vi sentite già più leggeri?

ANDREA DANIELLI

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