L’ennesima critica alla psicoanalisi? Uffa! La solita storia che non è scientifica? Gli psicoanalisti fanno spallucce? Che la psicoanalisi sia accusata di non essere scientifica non è una novità. Gli psicoanalisti hanno sempre puntato molto sulla loro diversità epistemologica, “diversamente scientifici“ dicono spesso di essere…
di Paolo Moderato, per State of Mind
L’ennesima critica alla psicoanalisi? Uffa! La solita storia che non è scientifica? Gli psicoanalisti fanno spallucce? Queste potrebbero essere (sono) le reazioni all’articolo de L’Espresso con l’intervista a Gilberto Corbellini che riprende e approfondisce un articolo scritto dallo stesso Corbellini con Enrico Bucci per Tuttoscienze de La Stampa del 6 novembre scorso.
La frase incriminata di quell’articolo è la prima, in cui la sacra parola psicoanalisi viene desacralizzata, giustapponendola a varie pseudoscienze: “Gli insegnamenti delle pseudoscienze, con corsi di omeopatia, biodinamica, agopuntura, medicina tradizionale cinese, psicoanalisi stanno proliferando”. E poi l’accusa: “Tale deriva antiscientifica è sempre più spesso motivata da finanziamenti alle università da parte di enti locali o nazionali che intendono assecondare credenze che hanno portato voti, o da politici o da docenti collegati a imprese che commerciano prodotti presentati”.
Che la psicoanalisi sia accusata di non essere scientifica non è una novità. Gli psicoanalisti hanno sempre puntato molto sulla loro diversità epistemologica, “diversamente scientifici“ dicono spesso di essere. Ricordiamo il dibattito svoltosi alla New York University nel 1959 e ripreso nel libro curato da Sidney Hook Psicoanalisi e metodo scientifico (Einaudi 1967). Ricordiamo il verdetto dell’epistemologo Karl Popper: la psicoanalisi è una pseudoscienza perché i suoi assunti non sono falsificabili.
Già la domanda dell’intervistatrice “Cosa porta a giudicare la psicoanalisi una “pseudoscienza“? Solo il fatto che “non è falsificabile”?” fa capire come per alcuni la falsificabilità di una teoria sia un accessorio, più che un perno metodologico. Infatti Corbellini risponde, pacatamente, che non è un concetto banale, perché sta alla base del modello EBI, Evidence Based Interventions.
E qui arriviamo al concetto di efficacia. Si può valutare l’efficacia di una terapia della parola come si valuta l’efficacia di un farmaco o di una procedura medico – chirurgica? Dibattito aperto, molte opinioni, alcuni fatti: “non esiste un solo trial clinico che provi l’efficacia della psicoanalisi: peraltro sarebbe impossibile farlo”, queste le parole di Corbellini. Un altro fatto: la psicoanalisi – nelle sue varie contaminazioni e frammentazioni, negli Stati Uniti è stata a lungo il principale modello terapeutico. Si calcola che, negli anni ’60 e ’70, il 95% dei clinici americani abbia avuto un training psicoanalitico. La psicoanalisi era presente nei film – pensiamo alle opere di Hitchcock (“Io ti salverò”, “Marnie”) o a quelle di Woody Allen, ma anche il Federico Fellini onirico di “8 e ½” o il Santo Padre che Nanni Moretti immagina in cura presso uno psicanalista. Poi, negli anni Ottanta, la crisi, certificata dalla pubblicazione del DSM III, nel quale l’American Psychiatric Association divorzia dalle precedenti spiegazioni intrapsichiche di matrice psicoanalitica per rifugiarsi in una confort zone ateorica. Descrizione di sintomi, nessuna attribuzione eziologica. Senza dimenticare anche il ruolo giocato dall’abbandono (forzato) della teoria psicogenetica sull’autismo in favore di una spiegazione neurologica. – L’articolo prosegue dopo il video –
https://www.youtube.com/embed/PS2dlJh5U60/?rel=0&enablejsapi=1&autoplay=0&hl=it-ITLa teoria, ancora pervicacemente seguita dalle truppe Lacaniane, era un punto centrale di tutta la teoria psicoanalitica dello sviluppo: la sua rottamazione non è stata indolore per la psicoanalisi.
Quel che è certo è che i clinici statunitensi abbandonano la psicoanalisi in favore di altri modelli terapeutici. I primi terapeuti cognitivo comportamentali sono ex psicoanalisti delusi dagli insuccessi derivati dall’applicazione del loro sapere psicoanalitico. Corbellini attribuisce la crisi della psicoanalisi allo sviluppo delle neuroscienze. Io preferisco chiamare in causa lo sviluppo e la discesa in campo di tanti nuovi modelli psicoterapeutici, che si dimostrano fin da subito molto più efficaci ed efficienti nel trattare le nuove patologie da stress che affliggono la società del secondo dopoguerra. Parlo di discesa in campo, perché si è trattato di sfidare l’establishment clinico psicoanalitico, e il nascente mercato degli psicofarmaci, sul terreno della cura del disturbo psichico.
Negli Stati Uniti, la Psicoanalisi è in crisi. Secondo uno studio citato dal New York Post, dal 2003 ad oggi l’età media dei 3.109 analisti membri dell’American Psychoanalytic Association è salita di 4 anni, arrivando a quota 66. Sono più vecchi, perché sempre meno giovani sono interessati a seguire questa strada professionale, perché meno università propongono corsi di psicoanalisi e psicologia dinamica, perché sempre meno sono i pazienti che si rivolgono alla psicoanalisi: si è passati da una media di 8/10 clienti al giorno (tra il 1950 e il 1960), a una media di 2,75, il che significa che molti non hanno neanche un paziente da seguire… CONTINUA A LEGGERE SU STATE OF MIND
22 Novembre 2019