Le scuole chiuse sono una ferita per tutti. Così si è recentemente espresso il Presidente Mattarella. Finalmente una voce istituzionale che arriva nelle case di genitori e insegnanti: “Siamo di fronte a un evento eccezionale che tocca la vita di più di otto milioni di ragazze e ragazzi italiani. Riapriremo non appena sarà possibile farlo in sicurezza”. Non ci sono ancora risposte certe e concrete, è vero, ma almeno ci è stato concesso un cenno di sensibilità istituzionale.
Durante la conferenza stampa di presentazione della Fase 2 Giuseppe Conte ha dimenticato, ancora una volta, la scuola, parlando di come, se e quando riaprire i parchi e addirittura i centri benessere, ma non le aule. Ancora una volta i bambini e i ragazzi rimangono i grandi assenti.
Dobbiamo dunque accontentarci, per il momento, del riconoscimento da parte del Capo dello Stato della valenza educativa di quello che “non è soltanto il luogo dell’apprendimento. È la vostra (dei ragazzi, ndr) dimensione sociale fondamentale, nella quale, assieme al sapere e alla conoscenza, cresce e si sviluppa – anche nella relazione con gli altri, con i compagni, con i vostri insegnanti – la personalità di ognuno di voi. Cioè quel che sarete nella vostra vita futura”.
Futuro ed educazione. Binomio imprescindibile come già si ricordava su queste pagine fuor di retorica. Dobbiamo cercare di rimboccarci le maniche tutti insieme, come per esempio sta facendo, per il breve termine, il Forum delle Associazioni Familiari che ha incontrato Giuseppe Conte portando sul tavolo “la preoccupazione di 26 milioni di famiglie italiane, in vista del 4 maggio, quando i genitori dovranno andare a lavorare e le scuole saranno ancora chiuse”.
Anche lungo termine la società civile va più veloce delle istituzioni per “creare una rete, unendo associazioni e comitati inascoltati”, come stanno facendo per esempio Diamo voce ai bambini e Inclusione donna. Ebbene sì, perché si rischia di penalizzare ancora di più il lavoro femminile, messo a durissima prova dalla gestione familiare con scuole chiuse e didattica online.
Riforma sì, riforma no… riforma ora!
Come scrive Francesco Cancellato, la colpevole dimenticanza della scuola da parte del Governo fa emergere, paradossalmente, in modo prepotente ed evidente, quanto una riforma sia priorità nazionale, non più rimandabile. Merito della pandemia il costringerci a esigerla a gran voce. E’ la storia a chiedercelo. Perché senza scuola – non ci stancheremo mai di ripeterlo – non c’è futuro.
Tutti i danni che stiamo scontando ad ogni livello, sono figli, prima che del Coronavirus, della nostra incapacità di gestire e di vivere il Paese negli ultimi 30 anni.
Bene scrive Cancellato: “Lungimiranza e visione. A questo sarebbero dovute servire le diverse task force che il governo ha insediato in queste ultime settimane. E soprattutto da Vittorio Colao e dal suo gruppo di lavoro – illusi noi – ci saremmo aspettati l’invito a costruire il Paese che riparte attorno alla scuola. Con investimenti mirati sulla sanificazione e sulla sistemazione degli edifici scolastici, ad esempio, pietra angolare di una nuova stagione di investimenti pubblici. Con una svolta a 180 gradi sulla didattica a distanza, liquidata da Conte con un ‘bene così’, quando invece ci sarebbe molto da dire su insegnanti mandati letteralmente allo sbando e bambini e ragazzi appesi alle disponibilità economiche e alle dotazioni tecnologiche dei propri genitori”.
Già direttore de Linkiesta e attuale vicedirettore di Fanpage, Cancellato è padre di tre bambini. Le sue lungimiranti considerazioni sono le stesse di tanti genitori ed educatori. Alcuni di loro, miei amici, hanno reagito all’articolo di questo blog Emergenza Covid-19 è anche emergenza scuola, con altrettante lungimiranti riflessioni e proposte.
A partire da Marco, docente di educazione motoria, che ben riassume il nocciolo del problema:
La scuola è interpretata solo come relazione giuridica, non è educazione.
Serve dunque prima di tutto fare squadra sulla mission del sistema formativo. Ecco allora altre voci che dovrebbero essere ascoltate. Subito. Anzitutto dal Comitato di esperti che è stato costituito per mettere a punto il Piano per la scuola.
La scuola luogo del bene comune e la famiglia orchestra della gioia
L’amico Giacomo Galli che si definisce mirabilmente “direttore d’orchestra domestica” mi ha regalato una riflessione che val la pena leggere integralmente, per rispondere alla cruciale domanda: La scuola è un servizio essenziale o è un obbligo derogabile all’infinito?
“Ce la vogliamo dire tutta? La scuola è lo strumento più sacrificabile. Nel nostro paese la scuola è il primo ‘rimedio’ sia quando è aperta sia quando è chiusa. Quando è aperta, è una scatola chiusa, nella quale i genitori non possono fisicamente entrare. Contiene bambini e ragazzi per un arco di tempo, spesso senza trasmetterne veramente valore. Non a caso si definisce dell’obbligo, non del privilegio.
L’educazione (o il tentativo di essa) è un obbligo o un dono? E’ un dovere dello Stato o un Bene comune della Collettività? Azzardo, per i genitori è una liberazione o un investimento?
Nevica? Scuole chiuse. Sciopero? Scuole chiuse. Elezioni? Scuole chiuse. Covid-19? Scuole immediatamente chiuse. Provate a dire a un imprenditore che deve tenere l’attività chiusa per un po’ di nevischio sulle strade. Provate a dire a un dipendente che non percepirà due o tre giorni di paga, perché ci sono le elezioni. Provate a dire alla gente (tutta) che sabato e domenica i supermercati sono chiusi. Eh! Ma cosa centra? Non puoi mica paragonare servizi essenziali come questi!! Appunto.
E noi genitori a subire l’investitura di insegnanti, la delega a docenti-di-emergenza. In silenzio, senza forse nemmeno accorgerci delle conseguenze per la collettività. Insisto su questo concetto di bene comune, perché io mi ritengo un papà molto fortunato: lavoro da casa dal 14 marzo e il tipo di lavoro che faccio mi permette di affiancare e aiutare i miei tre figli nella loro nuova quotidianità. Per di più ho il privilegio di avere una moglie insegnante che da un lato conosce le dinamiche di insegnamento tradizionali e dall’altro ha affrontato la sfida di “delocalizzare” la didattica con i suoi studenti. In famiglia abbiamo tre pc, un tablet, due smartphone e la fibra che condividiamo con una famiglia di vicini, sprovvisti di rete. Siamo molto fortunati, lo riconosco. Noi. Ma gli altri? Hanno tutti questa possibilità? Si riesce davvero ad essere inclusivi? A raggiungere tutti? A dare a tutti le stesse opportunità? Sento mia moglie parlare preoccupata di alcuni bambini che non si riescono più a raggiungere a nessuno dei recapiti telefonici o e-mail lasciati dai genitori. Sento amici in difficoltà, perché soli a gestire esigenze molto diverse tra loro di figli piccoli e adolescenti. Sento addosso la responsabilità di evitare che i miei figli subiscano per mesi la fatica di limitarsi a “fare il compitino” da caricare su Classroom. Sento il peso, da genitore, di evitare che la televisione non sia sempre il sesto e più ingombrante membro della nostra famiglia, specialmente per il più piccolo dei miei figli che andava al nido e ora non ha la mattina occupata con compiti e Zoom vari.
Come galleggiamo in questo mare di… fatiche? Parlandoci, innanzitutto. Dicendoci tra genitori prima e con i figli poi quali sono le necessità di spazi/silenzi/lavoro/gioco/compiti che le diverse giornate richiedono. Sembra banale, ma questa situazione ci ha imposto di dirci cose che prima non serviva puntualizzare. Chi ha mai dovuto dire ai propri cari, di mercoledì mattina alle 10.00: ‘Per favore fate silenzio che ho una Call importante’? Chi ha mai dovuto ricordare ai propri figli la videochiamata su Zoom delle 11.30? Chi ha mai proposto, a metà mattina, a propria moglie di bere un caffè per staccare un attimo la spina? Parlarsi quindi, innanzitutto.
Vi aspettereste ora che dica “ascoltare” come secondo punto, ma non è così. Non ancora almeno. Il secondo pilastro della nostra famiglia è da settimane la pianificazione! Al sentire questa parola alcuni scapperanno urlando, altri annuiranno compiaciuti. Io non vi dico cosa dovete fare, vi sto solo dicendo cosa sta funzionando (e bene!) per noi da molte settimane. L’organizzazione, la pianificazione hanno ridotti del 95% le lamentele su cosa compare in tavola. Ridete, ma con 3 figli il cui sport alimentare preferito è lamentarsi di ciò che piace all’altro, è sempre stato faticoso vivere serenamente il tempo, prezioso e piacevole, dei pasti. Da settimane fa bella mostra di sé sulla bacheca in cucina il menù di pranzo/merenda/cena da lunedì a domenica. Risultato, si sono azzerate le noiosissime domande: “cosa c’è per pranzo? Cosa c’è per cena?” cui seguivano le altrettanto fastidiose lamentele: ”Ma a me non piace la frittataaaa. Io il riso lo voglio gialloooo, no io biancoooo”. Il tutto fomentato dalla diabolica ripicca tra fratelli per cui se uno dice che gli gnocchi vanno bene al sugo, l’altro immediatamente rinnega di aver mai ingerito del pomodoro in vita sua. Come potete facilmente immaginare non andava mai bene niente. Ora nulla più. Intendiamoci, il menù non è scritto dall’ASL senza considerare i loro gusti, anzi, però la sua presenza scritta mette un punto fermo alla discussione. I cibi si alternano, i palati si adeguano e i maroni riposano.
L’altra grande scialuppa di salvataggio per noi è stata la pianificazione del ritmo della giornata, di tutti e cinque. Galleggiare aggrappati a un asse di legno è ben diverso dal cavalcare le onde su una tavola. Non siamo supereroi, ancora una volta, però, abbiamo imparato a usare a nostro vantaggio una situazione sulla carta molto fastidiosa. Mi riferisco alla sveglia biologica, tarata sulle 7.00 di mattina che i miei figli hanno da sempre. Quando in settimana si andava a scuola era un aiuto prezioso per velocizzare le procedure di vestizione-colazione-bacioallamamma-scuola. Durante il fine settimana e le ferie vi assicuro che è un po’ meno apprezzato. Anche in questo tempo extra-ordinario non hanno perso l’abitudine di svegliarsi a quell’ora per guardare i cartoni. Concesso. Non importa se ti svegli alle 7.00, alle 8.00 o alle 9.00, ciò che è veramente importante è con che cadenza prosegue la tua giornata. Colazione, compiti, gioco/cartoni, pranzo, tablet, qualche Zoomata di gruppo qua e là, ancora gioco, merenda, un po’ di Wii, cartoni, cena, Netflix Kid, un po’ di lettura a letto e nanna.
Il ritmo, ancora una volta scritto affinché possa essere fatto proprio da ciascuno, in autonomia, una sorta di autodisciplina-guidata, come in una buona canzone, è essenziale all’armonia della canzone. Si procede tutti insieme, ognuno col proprio spartito, ma all’interno di una partitura ben precisa, condivisa perché nota a tutti. Insomma, ci siamo trasformati in domestici direttori d’orchestra, sempre sul pezzo per accompagnare figli che hanno la testa d’ottone, che strillano come violini e borbottano come contrabbassi… però alla fine che spettacolo quando senti l’Inno alla Gioia. Ne usciremo, certo. Meglio di prima? Peggio? Dipende da ciascuno di noi, non da gli altri!”.
Ne usciremo, certo. Meglio di prima? Peggio? Dipende da ciascuno di noi, non dagli altri!
Responsabilità e presenza educante
Proprio sulla responsabilità dovremmo tutti lavorare. La proposta di Elisabetta, medico e mamma di due bambini, è dunque molto interessante. Concreta e immediatamente applicabile, portatrice di una visione educativa molto chiara: “I ragazzi delle superiori potrebbero essere educati e responsabilizzati fin da ora a un uso adeguato dei presidi di protezione. Visto che li educhiamo alla sessualità e a 18 anni diamo loro in mano le chiavi della macchina, non vedo perché non possano essere responsabilizzati in quanto giovani uomini e donne ad affrontare un momento storico che inevitabilmente li vede protagonisti. Inoltre, per chi finisce un percorso, come i ragazzini di quinta elementare e i ragazzi di terza media e quinta superiore, mi piacerebbe poterli vedere insieme agli insegnanti (ovviamente con le dovute cautele) per gli ultimi giorni di scuola, così da concludere il loro cammino realmente con una presenza educante”.
Alessia, mamma ed educatrice, usa le stesse parole di Elisabetta: “presenza educante”. Un dato di fatto spesso dimenticato che diventa emergenza in questo tempo di didattica online: “La relazione affettiva e la dimensione empatica sono centrali per la crescita dei bambini e dei ragazzi. Per questo motivo credo che, al netto del fatto che non si fosse pronti a livello tecnologico, prima di inaugurare la didattica a distanza, si sarebbe dovuto pensare a se e come questa fosse utile. Rispetto anche alle differenze di età degli studenti. E’ innegabile che la scuola stia subendo l’incuria che ci trasciniamo da decenni. Una rivoluzione strutturale, ormai inderogabile, dovrebbe comprendere anche la scelta di insegnanti davvero qualificate”. Anche Alessia è rimasta basita dalla ‘strategia’ governativa di non dare risposte tempestive per non ‘allarmare’ i genitori: “Negli incontri che conduco con i genitori l’ansia maggiore che riscontro è proprio quella di non avere risposte. Ogni volta un nuovo decreto che dice poco o, peggio, non dice nulla. Intanto i nostri figli stanno perdendo mesi importanti per la loro crescita. Mesi, settimane e giorni che non torneranno più. Tornando alla didattica a distanza, infine, l’aspetto a mio avviso più importante è quello di garantire incontri sincroni con il gruppo classe non per proseguire con la didattica, bensì per vedersi in faccia e mantenere viva una relazione. Quel rapporto con il tuo insegnante che fino a due mesi fa vedevi tutti i giorni. Inoltre l’attuale modalità di didattica delega una grossa responsabilità ai genitori e non tutti hanno le competenze per esercitarla”, nonché il tempo a disposizione.
Lisa, insegnate delle superiori e mamma di Abrish, mi scrive: “Credo si debba fare di tutto per poter ricominciare, certo con attenzione alla salute fisica, ma anche a quella psicologica e mentale che chiedono interazioni tra pari e con un adulto, il quale cammini coi ragazzi, guardandoli negli occhi e affascinandoli non con tecnologie evolute, ma con la propria persona”.
Se Cartesio avesse ragione
Con Luca abbiamo condiviso cinque anni di sudatissime carte sui banchi del liceo classico di Gallarate. Oggi Luca è un insegnante delle superiori che, condividendo perplessità, richieste e inviti all’azione, mi ha sorpreso con questo messaggio su cui val la pena riflettere: “Una soluzione immediata, nella quale tutti vorremmo tanto sperare, è davvero impossibile. Se il virus non sparirà per miracolo durante l’estate, anche a settembre sarà dura per la scuola tornare alla normalità. La mancanza di ambienti sufficientemente capienti per mantenere la distanza precauzionale è la prima difficoltà. Anche la turnazione a cui si è pensato non appare molto praticabile, pensando anche ai trasporti. Credo che l’unica strada praticabile nell’immediato sia mettere i 500.000 allievi finora esclusi dalla didattica a distanza nelle condizioni di potervi accedere: si sono stanziati dei fondi e molti dispositivi sono già stati distribuiti. Non ho comunque la soluzione in tasca per porre fine al grosso disagio che la scuola, insieme alle famiglie, sta vivendo in questo frangente: vorrei anch’io che gli istituti riaprissero domani, ma non sempre le nostre esigenze corrispondono a ciò che la realtà ci offre. Si potrebbe dire con Cartesio, senza per questo cadere nel suo razionalismo, che bisogna essere disposti a cambiare i propri desideri piuttosto che l’ordine del mondo. O, perlomeno, imparare a misurarli, tenendo conto di ciò che è in nostro potere e di ciò che non lo è: questo è uno degli insegnamenti che, personalmente, sto traendo dalla circostanza nella quale siamo immersi. Non certo per rassegnarmi, anzi: la lezione di questa emergenza può aiutare ciascuno a mettersi in gioco con una rinnovata consapevolezza dentro le sfide che la realtà ci pone”.
La speranza in 8 milioni di volti
“Probabilmente, non avreste mai immaginato che poter uscire per andare a scuola costituisse un esercizio di libertà. Della vostra libertà. Ma è possibile anche che da questa esperienza, così dura e sofferta, si tragga un’occasione di crescita” ha concluso Mattarella nel suo messaggio agli 8 milioni di studenti italiani.
Il Presidente non parla di mera opportunità da cogliere nelle crisi, bensì ci spinge oltre la retorica, in una dimensione che ben racconta l’amico e collaga, papà single, Francesco Facchini:“I nostri figli sono meglio di noi nell’affrontare questa emergenza pazzesca. Ho visto tanti bambini essere spalla dei loro genitori, diventare maturi velocemente, riuscire a interpretare il loro ruolo senza essere oltraggiati dalla tragedia del nostro mondo. Si fidano dei loro genitori. Sono davvero impegnati a trovare il senso delle cose, il senso di questa tragedia e gli anticorpi per combatterla. Se quelli della mia età non faranno troppi danni nello scrivere le prossime regole della convivenza mondiale e dell’economia, i giovani di oggi ridaranno al mondo la speranza”.
Partiamo da qui.