Proviamo a usare un punto di vista inverso. Proviamo, cioè, a scegliere, fra le innumerevoli cronache di questo periodo pandemico, una argomento derubricato, di costume, di secondo, terzo, anche quarto piano. Proviamo quindi a farci coinvolgere dal disagio quotidiano dei genitori impegnati nella didattica a distanza. Lezioni e compiti online a distanza dalla scuola, ma a stretta vicinanza con la mamma o il papà di turno.
Partendo da questa prospettiva di sbieco che, data l’emergenza mondiale sembra essere quasi eretico affrontare, si aprono squarci di interrogativi che necessitano immediate soluzioni. Combinazione peregrina per noi Italiani, me ne rendo conto: immediatezza + soluzione. Eppure oggi necessaria.
La salvezza, infatti – perché di salvezza si tratta, non di semplice ripartenza – non arriverà, ripristinando soltanto il binomio: Sanità ed Economia.
Sarà piuttosto sancita da una triade: Sanità, Economia ed Educazione.
Oltre che in famiglia, a scuola si educano le nuove generazioni, ossia le uniche, forse, in grado di generare davvero un mondo a misura d’uomo.
Sacrosanto, per carità, cercare, per esempio, di evitare il collasso del comparto turistico, pensando a soluzioni per riaprire gli stabilimenti balneari (d’altronde lo svago sembra essere diventato un bene primario, anzi un diritto inalienabile). Da genitore e da giornalista mi aspetterei tuttavia altrettanta spasmodica attenzione al comparto scuola. Da mettere in prima linea e in prima pagina, ossia fra le priorità del Decreto cura Italia, tanto per cominciare.
Confrontandomi con colleghi genitori e colleghi giornalisti, emerge dunque la necessità di avere risposte. Anzitutto a queste domande:
- Che cosa è la scuola, se non prima di tutto il luogo per la generazione del futuro?
- Dobbiamo guarire soltanto dal contagio del Covid-19 oppure anche in senso più ampio? L’emergenza emersa con il virus non svela forse anche un’urgenza antropologica, finora disattesa?
- Come allora possiamo guarire, tutti insieme?
Prima l’analisi poi una bozza di sintesi da condividere e arricchire. Io, ahimè, non ho tutte le risposte.
L’analisi
Ci si chiede perché Germania, Danimarca, Francia e Spagna annuncino la riapertura delle scuole a maggio e in Italia come al solito si tentenna. Come mai per esempio la Francia prima riapre le scuole e poi bar e ristoranti? L’unica certezza, conquistata per via deduttiva, è che si tornerà a settembre, ma non si sa in che condizioni. Intanto, se il Paese riparte e si riaprono fabbriche e imprese, i genitori a chi lasciano i figli? Secondo i dati Istat 2018 i bimbi 0-6 anni (nido, primavera e infanzia) sono 2.966.125, quelli della primaria 2.822.655 e quelli delle medie 1.721.057. Un esercito di 7.509.837 minori che non possono essere lasciati a se stessi e che nelle cautele del distanziamento sociale per proteggere gli anziani non potranno totalmente continuare a gravare sui nonni. Senza contare il mezzo milione di studenti che non si riescono a raggiungere con la didattica a distanza, soprattutto nel Centro-Sud. Infine, da non dimenticare chi sta subendo negativamente le conseguenze del restare in casa, ossia i più piccoli e i meno dotati (economicamente, tecnologicamente, psicologicamente, ecc.).
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La vice ministra dell’Istruzione Anna Ascani ha dichiarato che “per quanti sforzi si stiano facendo con la didattica a distanza, la scuola richiede una presenza che va ripristinata e per farlo occorre tornare a scuola”. Mentre il presidente dell’Associazione nazionale presidi Antonello Giannelli ha detto che si rientrerà a scuola quando ci sarà sicurezza per tutti. Questo è ovviamente sacrosanto e ci fa comprendere che, esattamente come per il comparto sanitario, anche la scuola stia pagando l’eredità di decenni di incuria.
È necessario allora investire nell’edilizia scolastica (se in tempo record si sono costruite terapie intensive ed ospedali, perché non fare lo stesso per gli edifici scolastici?, nell’utilizzo della tecnologia a servizio della didattica e nella formazione e aggiornamento dei docenti, che devono acquisire dimestichezza con le piattaforme telematiche…
Da quanto tempo sentiamo dire queste stesse cose? Adesso ci servono luoghi in grado di accogliere gli ormai quasi 8 milioni di studenti che sono a casa dal 24 febbraio.
Come per la Sanità e l’Economia abbiamo decisori che decisori non sono. Carlo Calenda, riferendosi alla questione economica, ha detto che non possiamo aspettarci granché da Ministri che in vita loro non hanno mai gestito neppure un bar. Nel caso dell’istruzione, però, abbiamo una ministra, Lucia Azzolina, che ha insegnato al liceo. Ecco allora alcune delle sue più recenti e illuminate dichiarazioni: “Serve un grande progetto di innovazione… si sta istituendo un tavolo tecnico di esperti per valutare cosa fare”. Ancora una volta la retorica del divenire, dei farò, del stiamo riflettendo che genera stallo.
Nel frattempo i sindacati non intendono confrontarsi con il ministero, le associazioni non sono formalmente consultate e si teme che anche in questo caso dovremo assistere a decisioni diverse per ogni Regione. Decisioni parcellizzate, non ancora soluzioni ragionate.
Ma ciò che mi ha davvero turbata, come genitore e come giornalista, è stato l’affondo faustino che arriva da ‘fonti qualificate’: “Dire una volta per tutte che la scuola resterà chiusa rappresenterebbe uno duro schiaffo per le famiglie. Lasciare aperta l’ipotesi regala una speranza”.
Di fronte a una situazione di questo tipo, si può rimanere indifferenti o rassegnati oppure ci si può arrabbiare oppure ancora si può ragionare insieme. Tutti abbiamo bisogno di una scuola che funzioni sia che abbiamo figli sia che abbiamo nipoti sia che non abbiamo né figli né nipoti. A tutti interessa perché, ripeto, la scuola è il luogo dell’educazione (molto di più di semplice formazione) della generazione del futuro. Quindi tutti siamo interpellati a esigere risposte e a collaborare per il miglioramento.
La sintesi
Possiamo insieme cominciare a cambiare il punto di vista, mettendo tutto quello che fa parte del tempo e del luogo della scuola come attenzione primaria e partecipe dei genitori che non devono difendere le proprie creature a prescindere o lagnarsi (io per esempio tendo a lagnarmi, lo confesso), ma collaborare. Per esempio, con un dialogo costruttivo fra genitori e con gli insegnanti. Per esempio, dando il proprio contributo di tempo alle attività delle associazioni di genitori. Insomma, fare il meglio che possiamo per cambiare in meglio la scuola. Una partecipazione collaborativa.
Come in quasi ogni ambito, infatti, il Coronavirus ci impone di cambiare radicalmente il punto di osservazione della realtà per trovare strade mai battute. Dopo decenni di vita sul filo del rasoio, un virus di provenienza incerta, un nemico invisibile, ci provoca al cambiamento radicale. E allora ecco alcune cose che penso, ma sono poche e superficiali, chiedo dunque agli esperti e ai colleghi genitori di completare questo post… aspettando le Istituzioni!
Senza dimenticare che i nostri figli saranno i piccoli reduci di una guerra, saranno la nuova generazione che ha visto un pezzettino del mondo com’era prima e che è tutta protesa vero un nuovo mondo. Stanno vivendo in prima persona uno dei più grandi fatti storici. Un po’ come i miei nonni che hanno vissuto la Seconda Guerra Mondiale.
Io credo fermamente che l’istruzione non sia soltanto didattica e disciplina, finanche formazione. L’istruzione deve essere anzitutto educazione, altrimenti avremo tecnici, specialisti, burocrati, magari efficientissimi, ma che saranno soltanto professionisti. Mancherà l’uomo.
Restando a casa abbiamo, poi, capito quanto la presenza e la personalizzazione siano fondamentali, ossia quanto la didattica sia anzitutto un rapporto e quanto oggi, più che mai, sia vitale che i nostri figli abbiamo come riferimento dei veri “maestri”.
Abbiamo poi sperimentato il lato buono e generativo del digitale. La cosiddetta rivoluzione è già avvenuta da tempo. Svegliamoci allora! Meno social, meno cellulari in mando ai bambini e ai ragazzini. Più contenuti di qualità digitali che sono gli adulti a dover generare e rendere fruibili. L’educazione deve finalmente comprendere anche l’aspetto digitale. Perché allora non inserire dei corsi di educazione digitale fatti sia agli insegnanti sia ai ragazzi sia ai genitori?
Fin qui arrivano i genitori.
Gli insegnanti do per scontato che fanno del loro meglio.
Poi, ahimè, servono le Istituzioni