La City dei TartariWild in the streets! Generazioni al ricambio – The Pandemic Basement Tapes 1

Dicono che gli anni bisestili siano forieri di tragedie e di grandi eventi cataclismatici. Il 2020, fino ad ora, non ha mancato di vivere le promesse delle scaramanzie popolari. Un anno circolare, un codice binario 2.0.2.0, come se, in tempi di continua accelerazione, non bastasse piu’ l’1 delle serie, ma si dovesse includere l’amplificazione e l’effetto moltiplicatore di questi anni di hypervelocita’ dei capitali e di velocita’ supersoniche dei trasferimenti di persone, merci e virus pandemici.

Il 1968 fu un altro anno bisestile, che porto’ grandissimi cambiamenti, guidati proprio da quella generazione, quella dei settantenni ed ottantenni di oggi, che piu’ soffre per gli effetti del virus.

Il 1968, l’anno di un film di piccolissimo ‘culto’, Wild in the streets. La storia e’ indicativa del periodo che gli Stati Uniti stavano attraversando, quello dei babyboomers, quando il 52% della popolazione americana aveva meno di 25 anni. Nel plot del film, il protagonista, un cantante di una band beat, formata da teenagers imbottiti di droghe lisergiche, durante un concerto, lancia l’idea che il limite di eta’ per il voto sia abbassato a 14 anni, perche’ sono loro quelli che devono decidere il futuro e non gli anziani. E lancia una rivolta per le strade degli Stati Uniti, fino a quando la richiesta viene accolta.
Nel film, una specie di distopia/utopia intergenerazionale, il cantante continua a lottare per eliminare i vecchi dal potere (vecchi definiti come persone sopra i 30 anni) e riesce a diventare presidente degli Stati Uniti ed obbliga tutte le persone piu’ anziane di una certa eta’ ad essere confinati in riserve speciali e con l’acqua che bevono addizionata di LSD. [Spoiler alert!] Il film finisce con torme di persone anziane e mature che ballano in tute blu, tipo seguaci di Osho, e il protagonista, Max, confrontato da un bambino di dieci anni che gli dice ‘non sarai troppo vecchio tu ora? Hai 25 anni’. Perche’ siamo tutti squali degli squali anziani.
La storia di Wild in the streets racconta la migrazione dello spirito del flower power a quello della sua degradazione, qualche anno dopo, nelle storie atroci di Manson e riecheggia scene e temi che sembrano appena precedenti ad Arancia Meccanica di Kubrick, che e’ del 1971.
Nel 1968, la cultura delle droghe psichedeliche, con l’idea di Timothy Leary che l’LSD potesse aprire a nuove dimensioni, espandere il cervello e la comprensione dei misteri del mondo, creo’ una generazione che doveva e voleva spodestare la generazione del dopoguerra, di chi aveva anche combattutto nella seconda guerra mondiale, sia in America che in Europa. Lisergia in California e Krautrock in Germania, per fare due esempi di visioni utopiche, costruite su espansione della mente e della tecnologia rispettivamente.
Poi, quella generazione falli’ perche’ gli furono offerti i mutui e le case al mare. E pensioni indicizzate ai mercati asiatici. Non riusci’ a cambiare il pianeta perche’ il sistema di valori che pensarono di creare si areno’ o frantumo’ di fronte alla devastazione delle droghe pesanti e, politicamente, dal bipolarismo Americano/Sovietico. Ma si garantirono pensioni e rendite di posizione, abbandonando la generazione dei figli alla disillusione, all’eroina degli anni settanta ed all’edonismo post-reaganiano.
Oggi, siamo ad un momento simile. Da un lato, la coda lunga dei baby boomers e la Generazione X (di cui faccio parte anche io) sconfitta dalla mancanza di spazi politici e pubblici, e dall’altro lato i Millennials ed i Centennials. Da un lato, chi ha costruito o subito un mondo di obbligazioni, pensioni, lavoro fisso, dall’altro le ore zero, i nativi digitali preoccupati dal cambiamento climatico ma gia’ immersi in un mondo nuovo fisico-virtuale. Come se la malattia che uccide i nonni fosse un episodio laterale rispetto al continuo dispiegarsi di spazi elettronici in cui rifugiarsi.
La tecnologia come una forma di alterazione della realta’. Un LSD leggero che ci rende probabilmente meno ossessionati dalle cose del mondo, da come ci vestiamo, da cosa mangiare, a parte che sia pane che allora va fatto vedere a tutti via Instagram.
Ed i nostri ragazzi cominciano a migrare in questo mondo nuovo, dove la application che viene scelta dal governo italiano e’ il risultato di una societa’ di coder under 30. Dove le strade in cui corriamo, ma che uno si chiede dove cazzo corriamo tutto il tempo, sono invase dai 40-50enni, che il tempo non aspetta nessuno. E quando la pandemia finira’, sara’ mare, disco anni Ottanta. Oppure.
Oppure un mondo nuovo, dove finira’ la migrazione verso terreni virtuali. Dove non dovremo piu’ viaggiare, andare a lavorare, dove i meccanismi del controllo elettronico che accetteremo detteranno cosa potremo vedere in televisione, o in rete. Un mondo nuovo, distopico, ma dove ogni nostro desiderio potra’ essere esaudito solo pensandolo.
E la domanda da farsi sara’ se vorremo allora ripartire come ci verra’ detto o ci sentiremo con ancora abbastanza forza per alzare la mano e dire no. No all’idea che siamo divisi da frontiere nazionali, di censo, di ideologie, alcune morte. E che lo spazio del vivente e dell’operante appartiene solo agli apparenti vincitori della sfida, i giovani del film Wild in the Streets, o i fascio-tecnocrati di Kubrick. O il giovanilismo estemporaneo ed allineato dei coder yuppie.
Il mattino dopo la pandemia, dove sarete? Cosa penserete? Quale strade prenderete? Quella che rimette in dubbio tutto quello che abbiamo accumulato, distribuito, deciso per gli ultimi sessanta anni od una strada nuova, dove cambino davvero le regole del gioco?

Da qualche parte sui muri di Madrid e’ apparso uno striscione che diceva ‘La romanticizzazione della quarantena e’ un privilegio di classe’. Dalle nostre finestre vediamo le persone che vanno a lavorare ogni giorno, negli ospedali, nei negozi di generi alimentari. Il commesso all’entrata del supermercato locale, con mascherina e guanti, osserva tutti come se fossero potenziali assassini, ma continua a sorridere ed a far entrare padri e madri coraggio alla ricerca di pane senza glutine.
Quale mondo vogliamo? Un mondo dove creare nuove schiavitu, come le migliaia di rumeni e bulgari transumanati verso le campagne inglesi a cogliere fragole per permettere ai borghesi inglesi di guardarsi le repliche di Wimbledon?
Un mondo solo di giovani ed i vecchi esposti ad un senicidio da leggende eschimesi?
La pandemia ci ha tutti esposti ad una livella che non quadra. Esiste una responsabilita’ personale in tutto questo, che qualsiasi sia il domani, non sia solo piu’ accettabile, ma migliore per tutti. Non solo in termini di qualita’ dell’aria, ma in termini di aspettative di speranze. Perche’, come scopre il protagonista di Wild in the Streets e come sapevano bene Boccaccio e Lorenzo il Magnifico, la giovinezza passa. Il mutuo resta. O forse no?
Soundtrack
Wild in the streests soundtrack – Shape of things to come https://youtu.be/xV2XUTCurvQ

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